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Noi abbiam pur riferito (4) gli onori, che dagli Scaligeri ei ricevette, benchè l' umor capriccioso, che lo dominava, gli desse anche occasione di qualche disgusto. Il Boccaccio ragiona in modo, che ci potrebbe far credere, che si pensasse ivi di conferirgli l'onore della corona d' alloro, dicendo, ch' egli non l'ebbe solo, perchè era risoluto di non volerla, se non in Patria (de geneal. Deor. lib. 15. cap. 6). Ma di questa circostanza niun' altro ci ha lasciata memoria. Verona però non fu sede stabile del nostro Poeta.

Il Boccaccio lo conduce in giro in Casentino, e Lunigiana nei Monti presso Urbino, a Bologna, a Padova, e a Parigi. Altri luoghi da lui abitati si annoverano da altri, e sembra, che non potendosi disputare della Patria di Dante, come si fa di quelJa di Omero, molte Città d'Italia in vece contendan tra loro per la gloria di aver data in certo modo la nascita alla Divina Commedia da lui composta. Firenze vuole, ch' ei già ne avesse composti i primi sette Ganti quando fu esiliato, e ne reca in prova l'autorità del Boccaccio, e di Benvenuto, e alcuni passi del medesimo Dante: (5). Il Marchese Maffei vuole, che alla sua Verona concedasi il vanto, che ivi principalmente Dante si occupasse scrivendola. Un' iscrizione nella Torre dei Conti Falcucci di Gubbio ci assicura, che in quella Città, ove, come sembra indicarci un Sonetto da lui scritto a Bosone, abitò qualche tempo presso questo illustre Cittadino, ei ne compose gran parte; e un'altra iscrizione, posta nel Monastero di S. Croce di Fonte Avellana nel Territorio della stessa Città afferma lo stesso di quel Monastero, ove anche al presente si mostrano le Camere di Dante. Altri danno per patria a questo Poema la Città d' Udine, e il Castello di Tolmino nel Friuli, altri la Città ḍi Ravenna; delle quali diverse opinioni si veggan le prove presso il più volte lodato Sig. Giuseppe Pelli; e vuolsi aggiungere inoltre, che il Cavaliere Giuseppe Valeriano Vannetti pretende, che nella valle Lagarina nel Territorio di Trento Dante scrivesse parte della Commedia, e altre Poesie, come egli si fa a pro

(1) Vedi il libro I. della Storia della Letterat. Ital.

(5) Il chiaro Sig. Abb. Denina crede probabile ( Vicende della Letteral. Berlino 1781. tom. I. pig, 161.) che Dante prendesse l'idea del So Poema dallo Spettacolo rappresentato in Firenze il primo di Mag gio del 1304., che fini poi in luttuosa tragedia, e che descrivesi da Giovanni Villani. Ma oltre che Dante non avea di bisogno di quello Spettacolo, per trarne l'idea del suo lavoro di certo non vi pole esser presente, perchè fin dal 1502. era stato esiliato, nè più rimise il piede in Firenze. Ed è inoltre probabile, ch' ei già avesse allora dato principio al suo Poema.

vare in una lettera publicata dal Zatta (op. di Dante tom. 4. par. 2.) Io mi guarderò bene dell' entrar nell' esame di tutte queste Sentenze, e dirò solo, che a me sembra probabile ciò che pure sembra probabile al Sig. Pelli, che Dante cominciasse il Poema innanzi all' esilio, e il compisse innanzi alla morte di Arrigo seguita nel 1313. altrimente, com' egli dice, non si vedrebbono negli ultimi canti di esso le speranze, che Dante formava nella venuta di quell' Imperatore in Italia (Parad. can. 30 v. 133. ec. ) (6).

Egli sperava al certo, che la discesa d' Arrigo potesse aprirgli la via di ritornare in Firenze. Perciò oltre una lettera scritta a' Re, a' Principi Italiani, e a' Senatori di Roma per disporli a ricevere favorevolmente Arrigo, che dall' Abbate Lazzari è stata posta in luce (L) (miscell. coll. Rom. tom. I. pag. 139.) un' altra ne scrisse al medesimo Imperatore l'anno 1311 ch'è stata pubblicata dal Doni (prose antiche di Dante ec. ) esortandolo a volger le armi contro Firenze, e da essa ancora raccogliesi, che Dante era stato personalmente ad inchinarsi ad Arrigo (M). E questi infatti era contro dei Fiorentini fortemente sdegnato; ma i poco felici successi, ch'egli ebbe in Italia, e poi la morte, che lo sorperse nel 1313. non gli permisero di eseguire i suoi disegni; e l'unico frutto, che Dante n' ebbe, fu il perdere ogni speranza di rimetter piede in Firenze. Il Sig. Pelli nel §. 13. differisce al 1315. la confermazione della Sentenza d' esilio contro di lui pronunciata, ma l'Abbate Mehus accenna una carta (Vita Ambr. Camald. pag. 182. ) del 1311., in cui si dichiara, che Dante era irremissibilmente escluso dalla sua Patria (N).

Allora è probabile, ch' ei se ne andasse a Parigi non già Ambasciatore dei Fiorentini, come dice il Filelfo, ma per desiderio di passare utilmente il tempo, e di sempre più istruirsi in quella Università. Questo viaggio di Dante rammentasi da Giovanni Villani, come già abbiam detto, da Benvenuto da Imola ( l. c. p. 1164.) da Filippo Villani (Ap. Mehus 6. c. pag. 167 ) e dal Boccaccio (Vita di Dante et geneal. deor. l. 14, cap. 11.), il quale aggiugne, che in quel luminoso Teatro ei sostenne publicamente una disputa su varie questioni Teologiche (O). Un' altra disputa filosofica ei tenne nel 1320. in Verona, seppur non è un impostura un Libretto stampato in Venezia nel 1508., di cui parlano Apostolo Zeno (lett. tom. 2. pag. 304. ) e il Pelli (§. 14. e 18.)

(6) Assai bene ha qui osservato Monsig. Dionigi, che questo passo di Dante ci mostra anzi, ch' egli scrivea dopo la morte d' Arrigo: perciocchè altrimente ei non avrebbe potuto dir con certezza, come pur dice, che l'Imperadore sarebbe morto prima di lui.

e che ha questo titolo: quæstio florulenta, ac perutilis de duobus
elementis aquæ, et terræ tractans super reperta, quæ olim
Mantuæ auspicata, Veronæ vero disputata, et decisa, ac ma-

nu propria scripta a Dante Florentino Poeta clarissimo, quæ

diligenter, et accurate correcta fuit per Rev. Magistrum Jo-

annem Benedictum Moncettum de Castilione Aretino Regen-

tem Patavinum Ordinis Eremitarum Divi Augustini, Sacræ-

que Theologiæ Doctorem excellentissimum.

L'ultima stanza di Dante fu la Città di Ravenna a cui egli

recossi sul finir de' suoi giorni (7), invitato da Gaido Novello da

Polenta coltivatore insieme, e splendido Protettore dei buoni

Studj, come dice il Boccaccio. Fra le Prose di Dante publi-

cate dal Doni avvi una lunga lettera da lui scritta al suddet-

to Guido, da cui egli era stato inviato l'anno 1313. a Vene-

zia Ambasciadore al nuovo Doge, nella qual lettera di Vene-

zia, e dei Veneziani ei parla con insofferibil disprezzo. Ma

che una tal lettera, e in conseguenza anche una tale amba-

sciata, che ad essa sola si appoggia sia un' impostura del Do-

ni, era già stato avvertito dal Canonico Biscioni nel ristam-

pare, ch' ei fece le medesime Prose, e si è lungamente pro-

vato dal Doge Foscarini (Letterat. Venez. pag. 319. ec.) e

più fortemente ancora dal P. degli Agostini (Scritt. Venez.

tom. I. pref. pag. 17. ec.) il quale inoltre confuta a lungo le

accuse, che l'autor della lettera dà a Veneziani. Più verisi-

mile è un'altra ambasciata di Dante ai medesimi, che si nar-

ra da Giannozzo Manetti nella Vita, ch'egli ne scrisse, dicen-

do, che essendo in guerra i Veneziani con Guido, questi il

mandò ad essi Ambasciadore per ottenere la pace, che Dante

avendo perciò più volte richiesta pubblica udienza, questa per

l'odio di che i Veneziani ardevano contro di Guido, gli fu

sempre negata; di che egli dolente, e afflitto tornossone a Ra-
venna, e in poco tempo vi morì l'anno 1321. In somiglian-
te maniera raccontano il fatto anche Filippo Villani, e Domeni-
co di Bandino d' Arezzo (ap. Mehus I. 167. e 170.) e si accen-

(7) Quando io ho scritto, che Dante si ritirò a Ravenna sul finir

dei suoi giorni, non ho già inteso, che pochi giorni, o pochi mesi egli
passasse in quella Città, anzi da tutto il contesto di quelle parole si
può raccogliere, che io son di parere, che Ravenna fosse l'ordinario
soggiorno di Dante, dopo la morte di Arrigo Imperatore, trattone il
tempo, ch' egli potè impiegare in qualche viaggio, o in qualche am-
basciata. Giannozzo Manetti Scrittor degno di molta fede espressamen-
le racconta, che dopo la morte di Arrigo Dante invitato da Guido No-
vello se ne andò a Ravenna, e il viaggio di Parigi secondo questo Scrit-
tore fu falo da Dante innanzi la morte di quell' Imperadore,

na ancora da Giovanni Villani, il quale così narra la morte di Dante; Nel detto anno 1321. del mese di Settembre il dì di Santa Croce morì il grande, e valente Poeta Dante Alighieri di Firenze nella Città di Ravenna in Romagna essendo tornato d'ambasceria da Vinegia in servigio dei Sig. da Polenta, con cui dimorava (I. 9. c. 133. ).

Queste parole del Villani ci danno l'epoca certa della morte di Dante confermata con altre prove dal Sig. Pelli (nuova Raccolta di Opuscoli Tom. 17. ), il quale poscia ragiona dell' onorevol Sepolcro, che Guido da Polenta vuoleva inalzargli, ma che non avendolo egli potuto per la morte, da cui non molto dopo fu preso, gli fu poscia eretto l'anno 1483. da Bernardo Bembo Pretor di Ravenna per la Republica di Venezia, e restaurato nel 1692. dal Cardinale Domenico M. Corsi Legato di Romagna. Intorno al qual monumento degna è di esser letta una erudita dissertazione del Conte Ippolito Gamba Ghiselli contro un supposto M. Lovillet; il quale avea preteso di togliere a Ravenna la gloria di posseder le ceneri di questo Poeta (8) (P). Il Pelli reca ancora le diverse Iscrizioni, ond' esso ne fu onorato; e narra le istanze più volte fatte dai Fiorentini, ma sempre inutilmente per riaverne le ceneri; il disegno da essi formato, ma che non ebbe effetto, di ergergli un maestoso Deposito; e l'onore, che gli fu in Firenze renduto, con coronarne solennemente l'immagine nel Tempio di S. Gio vanni, narra in una sua lettera il Ficino, il qual racconto però da altri

come

(8) Deesi qui emendare ciò, che io ho scritto, cioè, che Guido Novello non ebbe tempo ad inalzargli il destinato sepolcro, e che questo onore non fu a Dante renduto, che più di un secolo, e mezzo dopo da Bernardo Bembo del 1485. Il sepolcro gli fu veramente inalzato da Guido, come chiaramente narra il Boccaccio nella vita di Dante, e anche il Manetti, più anni prima, che il Bembo andasse a Ravenna nella vita di quel Poeta così scrisse: Sepultus est Ravennæ in Sacra Minorum Æde egregio quodam, atque eminenti tumulo lapide quadrato, et amussim constructo, compluribus insuper egregiis carminibus inciso, insignitoque. Il Bembo ristorollo poscia, e vi aggiunse la Statua del Poeta, e altri ornamenti di marmo, intorno a che leggast la dissertazione del chiaro Sig. Conte Ippolito Gamba Ghiselli, a cui io debbo le osservazioni da me qui esposte. Un assai più magnifico sepolero ha poscia a sue spese innalzato a Dante nl 1780. il Sig. Cardinal Luigi Valenti Gonzaga, mentre era Legato di Ravenna, e se ne può vedere la descrizione con uguale magnificenza stampata in Firenze. Quanto alle diverse epoche stabilite dal sopralodato Monsig. Dionigi intorno all' andata di Dante a Verona, e ad altri luoghi, io mi rimetto a ciò, che ne ha detto quell' erudito Scrittore nel secondo, e'quarto de' suoi aneddoti; perchè troppo a lungo mi condurrebbe il chiamare ogni cosa ad esame.

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si prende in senso allegorico; e finalmente ragiona ( §.16.”, delle medaglie in onor di esso battute, e delle Statue a lui inalzate (Q).

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Il Boccaccio ce lo descrive, come Uomo ne' suoi costumi sommamente composto, cortese e civile. Al contrario Giovanni Villani ce ne fa un carattere alquanto diverso; e io recherò qui il passo, in cui ne ragiona, perchè parmi il più acconcio a darcene una giusta idea (lib. 9. c. 134. ) » questo fu gran» de Letterato quasi in ogni scienza, tutto fosse laico: fu som>>ino Poeta, et filosofo, et Rettorico, perfetto tanto in dittare, »e versificare, come in arringhiera parlare, nobilissimo dicito» re, e in rima sommo con più polito, e bello stile, che mai » fosse in nostra lingua infino al suo tempo, et più innanzi. » Fece in sua giovanezza el libro della vita nuova d' amore, » et poi quando fu in esilio fece da venti Canzoni Morali, et » d'amore molto eccellenti, et infra le altre fece tre nobili pistole, l' una mandò al regimento di Firenze, dogliendosi » del suo esilio senza colpa ; l'altra mandò all' Imperadore Arrigo, quando era all'assedio di Brescia riprendendolo della » sua Stanza, quasi profettizzando; la terza a Cardinali Ita»liani quando era la vacazione dopo la morte di Papa Cle» mente, acciocchè si accordassero a eleggere Papa Italiano; » tutte in latino con alto dittato, et con eccellenti Sententie, » et autoritadi, le quali furono molto commendate da savj » Intenditori. Et fece la Commedia, ove in polita rima, e » con grandi questioni morali, naturali, astrologhe, filosofi» che, et teologiche, et con belle comparazioni, et poetrie » compose, e trattò in Cento Capitoli, ovvero Canti dell' esse»re, et stato dell'Inferno, et Purgatorio, et Paradiso così altamen»te, come dire se ne possa, siccome per lo detto suo Trattato » si può vedere, et intendere chi è di sottile intelletto. Bene si dilettò in quella Commedia di garrire, et esclamare » a guisa di Poeta forse in parte più, che non convenia, ma » forse il suo esilio gli fece fare ancora la Monarchia, ove con » alto latino trattò dell'officio del Papa, e degl' Imperadori. » Et cominciò uno comento sopra quattordici delle sopradette » sue Canzone morali volgarmente, il quale per la sopravve»nuta morte non perfetto si trova, se non sopra le tre, la quale per quello, che si vede grande, alta, e bellissima » opera ne riuscia, però, che onorato appare da alto dittato, » et di belle ragioni filosofiche, ed astrologiche. Altresì fece un » Libretto, che l'intitolò di vulgari eloquentia, ove promet» te fare quattro libri, ma non se ne trova se non due, forse >> per l'affrettata sua fine, ove con forte, et adorno latino,

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