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NOTE

AGLI ANNALI

LIBRO QUATTORDICESIMO

Nota 1. cap. 12.

DEGLI DEI) Nel mio Proemio, svolgendo il genere di filosofia professato da Tacito, non solo mi consigliai di rimuoverne ogni color di epicureismo, onde gravasi dal Bruchero; ma di purgarlo ancora d'ogni empietà,che il Lipsio e il Brotier con altri ancora gli appongono per il concetto, ond'e'chiude il terzo capitolo del primo libro delle sue Storie; attenendomi a quelle regole, che la giustizia e l'onestà voglion ferme a giudicar saggiamente delle opinioni non meno, che delle azioni degli uomini. Parevami per tal modo, se non giunto a troncar la disputa, siccome pure assai dotti mi confortavano a credere, d'averla almeno recata a tale, che per tenersi a contrario avviso fosse mestieri combatterini con argomenti, che più valessero d'una semplice affermazione. Il P. Petrucci mostrò pensare altrimenti, e nella Nota trigesimaquarta del sedicesimo Libro, accusando Tacito di epicureismo per quanto ivi censurane invitaci a riscontrarne altri saggi e nella sentenza citata già delle Storie, ed in questa ; senza dar cenno de' tanti interpreti, che a miglior senso le volgono. Benchè dissimular gli argomenti opposti tutt'altro sia che distruggerli; pure per non mancare di riverenza a'lettori, cui devesi ragion piena di quanto affermasi, non solamente ho nel Proemio ravvalorato quanto già posi a purgare d' irreligione lo Storico ; ma in tre respettive Note prendo a chiarire vie maggiormente i tre luoghi, che nuovamente si tacciano d' empietà. E poichè gl' infamatori di Tacito a rea sentenza si trassero per la dimenticanza di alcune regole, che tutti han sacre nel ponderare le azioni ed i penNote agli Annali Tom. III.

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sieri degli uomini, non sarà grave ch'io mi prepari a miglior giudizio con ricordarle.

Primieramente nè l' onestà, nè la giustizia consente di trar le cose alla peggior parte, quando si possa far ciò convenevolmente; sì perchè niuno dee menomarsi di sua ragione, ove possa a buona equità sostenersi ; sì perchè male attentasi l' innocenza di chi sospettasi a torto di reità. Iniquamente poi tacciasi di reità per sentenza, ch' abbia alcun dubbio nelle parole, chi tali e tante, e chiare tutte e concordi, sopra lo stesso argomento ne proferi, piene di rettitudine. Qual onta in fine non recasi alla giustizia ed all'onestà coll' astringere ad empio senso parole e modi, che buono l'offrono, e all' argomento conforme, nel lor nativo significato? Le quali regole ove non abbiansi, come pur s'hanno, a ragione e di pensare e di vivere, a che n'andrà la riverenza scambievole, che per natura è primario vincolo di società; riverenza, che indarno vuolsi tra' vivi, ove non s' usi ad onore de' trapassati? A che n' andrebbe la santità de' libri più reverendi, ne' quali è forza trar le parole ad esprimere frequentemente ciò che non suonano,per non viziare lo spirito di verità, che le informa? A che n' andrà finalmente il vivere d'ogni città ? poichè niente di più funesto alle umane generazioni in qualunque forma di città sien raccolte, quanto il corromperne la credenza di una suprema e provida Divinità; e niente più acconcio a spegnerla, quanto il mostrarla derisa da maggior numero di que' che s' hanno per senno ed autorità ragguardevoli. Quindi, se degno per tal proposito fu reputato d'ogni censura il Dizionario Ateistico del Lalande, meritamente si giudicò benemerito del civil ordine Agatopisto, ch' ogni sua cura pose a comprimere le censure di panteismo, ateismo, materialismo, onde gli antichi filosofi agevolmente si notano dal Bruchero. A liberare d' ogni empietà le tre sentenze di Tacito bastava attender sol una di queste regole; eppur concorrono tutte a patrocinarle. Facciamoci ad osservarlo di questa, che offresi prima a discutere.

Che le parole di tal concetto debbansi almeno reputar dubbie, tali cioè da potersi egualmente a buona e rea sentenza acconciare, n' è chiara prova il vederle da dotti interpreti sostenute contra coloro, che d'empietà le condannano. Il Bruchero certo, ch' avea pur uopo di contestare l'epicureismo di Tacito, non si avvisò di poterlo con tal sentenza; e dirittamente. Perocchè come immaginar che volesse toglier con essa il governo

dell' universo ad una provida Divinità quello Storico, il qual non cessa e di mostrarla e di crederla regolatrice de' più minuti accidenti, e di quegli stessi che più si credon fortuiti, come battaglie, incendj, tempeste, calme, serenità, carestie, favore ed ira de' principi, innalzamenti e ruine de' soprastanti; larga di benefizi anche a popoli di guasti e sordi costumi, sino a far gli uomini operatori di maraviglie? Io m'asterrò di recar que' luoghi, che ciò comprovano, perchè si possono riscontrar tutti distintamente notati nel mio Proemio. Se non volevasi dunque piegare alla miglior parte un concetto, che per le vosi dubbio si reputasse, doveasi certo chiarire il dubbio con quella luce, che aveva altrove diffusa copiosamente lo Storico per dissiparlo. Benchè poi tali non erano queste voci che, divisandone la natural proprietà, non offerissero il senso, a cui furono adoperate. Ne sarem chiari avvisandone l'argomento.

si

Parla qui Tacito di prodigj. Cicerone de Divin. lib. 1. cap. 42. et 93. ammaestraci, dirsi prodigio quanto avvenisse fuor di natura o d' uso, onde significavasi ciò che mai fosse per avvenire di lieto o sinistro agli uomini per volontà degli Dei ; e ci ammmaestra lib. 1. cap. 1. essere universal credenza che potessero tali segni ed osservare,e conoscere, e predire ancora dagli uomini; ed essere questo l' uffizio della divinazione lib. 1. cap. 6. et lib. 2. cap. 63., che si partiva in due spezie, naturale ed artificiale, comprendendosi nella prima i sogni ed i vaticinj, nell'altra i parti, e le folgori, ed ogni altro evento notato qui dallo Storico lib. 1. cap. 7. 18. 33. Or tali segni spiegandosi per congettura, rendevan l'arte congetturale, ed esposta per conseguenza agli equivoci e alle fallacie di tutte l'arti opinabili lib. 1. cap. 15. Ma come di niun' altr'arte congetturale, così neppure della divinazione, gli errori e le fallacie impedivano, che ne menasse sovente alla verità, la qual sempre non raggiugnevasi per solo vizio degli uomini, o perchè certo s'avessero quanto era espresso dubbiosamente, o perchè alcun segno ignorassero, di quelli almeno, che fossero pur contrarj lib. 1. cit. cap. 15. et cap. 52. et 55. E questa erasi la sostanza di quella divinazione, che a tutti i popoli fu comune lib. 1. cap. 1. et 39. et lib. 2. cap. 39.; anzi su cui fondaronsi tutti i governi e gl'imperj della gentilità, come dimostra il Vico e nella Scienza Nuova,e de uno et univ. jur.princ. Ora su tal proposito perfettamente conforme alla comun credenza era il pensare di Tacito. Perocchè egli sacro e veri

dico reputava per sè medesimo il ministero della divinazione Ann. lib. 6. cap. 22; ma confinare con la menzogna per la umana imbecillità, la qual non può mai comprendere tutt'i segni, e spesso non sa discernere a che riguardino Ann. lib. 4. cap. 58; tratta principalmente a veder prodigj, e quando nell'età rozze per l'ignoranza delle cagioni tutti gli oggetti presentano maraviglie Hist. lib. 1. cap. 86. come avvertì Cicerone de Div. lib. 2. cap. 22. causarum ignoratio in re nova mirationem facit; e quando nelle calamità inclinasi a maraviglie per lo sbigottimento degli animi, Hist. lib. 4. cap. 26. secondo pur la sentenza di Cicerone de Div. lib. 1. cap. 38. animi integri est divinatio; talchè da niuna cosa son gli uomini, quanto da' gran desiderj e dalle grandi paure esposti alle giunterie di coloro, che come d'ogni altro vizio, così fan merce della privata e pubblica credulità Ann. lib. 2. cap. 27. lib. 3. cap. 22., lib. 4. cap. 58; lib. 6.cap. 20., lib. 12. cap. 22. 52. 68., lib. 14. cap. 9. 68., lib. 16. cap. 14., Hist. lib. 1. cap. 10., lib. 2. cap. 78. Quindi non solo astennesi di tor fede a' prodigj generalmente creduti, e confermati dall' esito Hist. lib. 2. cap. 50. nè dubitò di narrar come tali veracemente quanti al presagio fattone corrisposero Ann. lib. 12. cap. 64; lib. 15. cap. 47. Hist. lib. 1. cap. 10. 86; ma egli stesso a prodigio tolse ed interpretò quanto di strano avvenne in qualche grande sciagura Ann. lib. 13. cap. 41. anzi come reali prodigj, e in parte ancor manifesti, si protestò di narrare quanti pel corso delle sue Storie intervennero Hist. lib. 1. cap. 3. e qualora a notar s'avvenne presagj non avverati conforme all'espettativa degli uomini, non lasciò d' avvertir la causa, onde a mentire fu tratta un'arte di verità Ann. lib. 4. cap. 58.

Ciò conosciuto agevol cosa è chiarire come per tal concetto, anzichè contraddirsi, inferivasi, quanto dovevasi pel ministero della Divinazione', esse Deos, et eorum providentia mundum administrari, eosdemque consulere rebus humanis, nec solum universis, verum etiam singulis Cic. de Div. lib. 1. cap. 38. Narra dunque lo Storico, che da frequenti prodigj fu segnalato il parricidio opratosi da Nerone, poich'egli avea già narrato che ne fu tosto straziato da tal rimorso, che da ogni cosa temea rovina cap. 10. di questo Libro, sino a tremare che Roma tutta non insorgesse all' aspetto dell' empio Principe cap. 13. Or chi l'avea confortato a torsi d'ogni rispetto agli uomini ed agl' Iddii? Lasciamo i centurioni e' tribnni,

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