odierni scrittori vernacoli di questa nostra patria. Solo vi accenneremo che per quel che risguarda la Versione dell' Inferno di Dante, intrapresa altrettanto ardua, quanto nuova negli annali letterari d'Italia, non più che il primo Canto ci è dato di presentarvi, perchè questo solo ci concesse l'Autore, qual Saggio dell' opera intiera in cui egli è a questa ora di molto innoltrato. Questo Canto però, ne siam certi, basterà per convincervi che non v' ha difficoltà che valga a togliere una penna maestra dal condurre a suo talento le intraprese anche più malagevoli, e per destare in voi il desiderio di veder quanto prima dato alla luce per in tiero questo nuovo lavoro del signor Porta. Nel el mezzo del cammin di nostra vita Mi ritrovai per una selva oscura, Chè la diritta via era smarrita. Ahi, quanto a dir qual era è cosa dura Questa selva selvaggia, ed aspra, e forte Che nel pensier rinnuova la paura. Tant' era amara, che poco è più morte : Ma per trattar del ben ch' ivi trovai, Dirò dell' altre cose ch' io ho scorte. I non so ben ridir com' io v'entrai, Tant' era pien di sonno in su quel punto Che la verace via abbandonai. A mitaa strada de quell gran viacc Che femm a vun la væulta al mond de là Domà a pensagh, me senti a vegnì scacc, Quanto sia al cascià pussee spavent, I Ma po' ch'i fui appiè d' un colle giunto, Là ove terminava quella valle Che m' avea di paura il cor compunto, Guardai in alto, e vidi le sue spalle 'Allor fu la paura un poco queta, ·Che nel lago del cor m'era durata La notte ch' io passai con tanta pieta. E come quei che con lena affannata Così l'animo mio, ch'ancor fuggiva, Poi ch' ebbi riposato'l corpo lasso; Ripresi via per la piaggia diserta, Si che'l piè fermo sempre era'l più basso; |