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LV

DELLA PRIMA E PRINCIPALE ALLEGORIA DEI. POEMA

Scrissero

DI DANTE

DISCORSO

DEL CONTE GIOVANNI MARCHETTI.

crissero gli antichi espositori della divina Commedia essere l'oscura e selvaggia selva per la quale Dante si ritrovò nel mezzo del cammino di nostra vita, immagine d' innumerevoli vizj ed errori e prave passioni di lui: il dilettoso monte, che i primi raggi del sole illuminavano, significare la virtù e la lonza, il leone, e la lupa che il suo salire impedivano, simboleggiare la libidine, l' ambizione, e l'avarizia. Con la persona di Virgilio che nel suo seampo si adoperò facendogli guida nel cammino dell' Inferno e del Purgatorio, credettero vestita la morale filosofia ; e per Beatrice la quale a ciò mosse Virgilio, e quindi fu scorta a Dante nel Para, diso, intesero la teologia. Laonde giudicarono, che il senso riposto nella principale allegoria del poema, fosse il seguente: Dante pervenuto al trentesimo quinto anno dell' età sua, videsi ravvilup pato negli errori e ne' vizj : desiderò levarsi alla virtù: libidine, ambizione, ed avarizia ne lo impedirono. Ma la divina clemenza, punta da compassione di lui, mandò in suo conforto la filosofia morale, e la teologia. L' una, col fargli comprendere dall' acerbità delle pene la turpitudine de'vizj : l'altra, dalla beatitudine de' premj la bellezza della virtù, lui ad onesto e costumato vivere ricondussero.

Alcuni però fra' moderni commentatori, forse considerando come non più oltre del Canto III. dell' Inferno, laddove Caronte niega al Poeta il tragitto del fiume infernale, Virgilio per dichia rare a Dante la cagione di quel rifiuto, gli dice:

Quinci non passa mai anima buona,

a

e parendo loro che si fatta lode non bene si converrebbe a colui, il quale fosse ravvolto in tanta moltitudine di vizj, e d'errori, quanta ne pone dinanzi alla mente l'immagine di folta ed oscura selva, accortamente stimarono ch'ella non rappresentasse già gl'innumerevoli vizj ed errori del Poeta, ma piuttosto la moltitudine de' vizj e delle passioni umane. Nel che poi non mostrarono, voler dire il vero, eguale accorgimento: imperocchè sarebbe cosa assai malagevole a comprendere come soltanto in quella maturità l' altissimo intelletto di Dante si avvedesse della moltitudine de' vizj, e delle passioni degli uomini. Ma ciò non avvertirono que' commentatori; e del rimanente si stettero contenti all' antica interpretazione.

Non così l'ingegno perspicacissimo di Gasparo Gozzi, il quale ponendo mente a' seguenti versi, ove parlasi della lupa ( cioè dell' avarizia di Dante) e del Veltro (cioè, di Can Grande Siguore di Verona ):

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scrisse nell' aurea DIFESA DI DANTE,, Vedete ch' io penso ragionevolmente, e veggo che l'invenzione di questa fiera ha più ,, del grande di quello ch' altri si crede. Nè mi saprò mai dare ad intendere che avesse a nascere un principe, signore d'una larga nazione, e profeticamente disegnato, che con l' armi sue dovesse cacciare di città in città, e rimettere in inferno l' avarizia di Dante,, Pensò il Gozzi ch' egli con la selva esprimesse i proprj vizj ed errori, ma in quelle tre fiere intendesse,,

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i vizj ei viziosi della città sua propria, e dell' Italia medesima,, Intorno la quale opinione io stimo, che senza mancare della riverenza debita a tanto uomo mi sia lecito il dire, come a molti non parrà verisimile, che procacciando il Poeta di spogliarsi de' proprj vizj, i vizj dell' Italia potessero fargli arduo e non superabile impedimento,

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Nulladimeno, quella giustissima considerazione del Gozzi venendo per avventura all' animo di Monsignor Giovanni Jacopo de' Marchesi Dionisi di Verona, dessa, come io credo, gli fu cagione a pensare ciò che nell' Aneddoto II. de suoi Blandimenti funebri si legge Dante intese per la lonza, Firenze; per lo leone il regno di Francia; e per la lupa Roma, o sia la curia Romana Questa sua nuova sentenza egli di alcun buono argomento non confortò che anzi avendo soggiunto,, doversi per la selva intendere la pubblica Reggenza Fiorentina, il valente Commentatore Romano avvertì, come sarebbe d' uopo l' interpretare,, che volendo il Poeta uscire della Reggenza Fiorentina, si opposero a lui Firenze, Roma, e il Reame di Francia,, al che troppo apertamente contrasterebbe l'autorità della storia: nè Monsignore, per quanto m' è noto, fece parola alcuna di risposta. Ma l'opinione ch' egli portò delle tre fiere, io tengo per fermo essere stata seme, il quale oggi ( se l'amore di questa mia fatica non m' inganna ) frutti al Divino Poema nuova e più verisimile, e, se a Dio piace assai più nobile interpretazione. Alla quale però innanzi che si proceda, vuolsi notare alcune cose che alla comune dichiarazione di quest' allegoria, per mio giudizio stan contro, e quindi brevemente toccare le qualità del Poeta, e le cagioni del Poema .

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E facendomi dal primo proposito, io dico che lontanisma dal vero, e assai disadatta a rappresentare le ree passioni ed

i vizj sąrebbe l'immagine di un' orribile selva. Hanno essi per mala sorte piacevolissimo aspetto e molto soavi lusinghe ; onde avviene di necessità che colui, il quale a' vizj si abbandona, più sempre vaghezza e dilettamento ne prenda, né mai volga l'animo a' miserabili effetti che poi di quelli provengono. Per la qual cosa finse avvedutamente il Gelli nella sua Circe, che de' compagni d'Ulisse, fatti bruti per lo incanto della Maga, niuno curava di risorgere alla nobiltà dell' umana natura. Che appunto coll' Isola di Circe (e taccio del notissimo bivio d' Alcide ), gli antichi filosofi intesero a simboleggiare i vizj, e le male passioni degli uomini, ma riccamente ad orna e in vista gradevole e dilettosa figurarono quella regione'. Veggasi Omero nel X. dell' Odissea :

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Come ne comandasti, illustre Ulisse,

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Fummo a le selve, e agli occhi ne si offerse

,, Un adorno palagio, fabbricato

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Di liscj marmi, ove tessendo stassi

,, Tal, non so s' io la chiami o Donna o Dea,

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E dolcemente canta i miei compagni

A lei mosser la voce, ed ella tosto
Uscendo aperse le lucenti porte.

E Virgilio stesso nel VII. dell' Eneide :

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Proxima Circææ traduntur littora terræ,
Dives inaccessos ubi Solis filia lucos
Assiduo resonat cantu, tectisque superbis
Urit odoratam nocturna in lumina cedrum
Arguto tenues percurrens pectine telas.

Ora si ponga mente alla selva di Dante :

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,, Ahi quanto a dir qual era è cosa dura ,, Questa selva selvaggia ed aspra e forte, Che nel pensier rinnuova la paura . Tanto è amara che poco è più morte: Questa sola comparazione basterebbe, per mio avviso a far ciascuno capace, che altro intese il Poeta per sì fatta selva; ancorche egli niuno indizio ne avesse dato di credere in tutto conforme al vero quella finzione degli antichi sapienti. Ma ventura volle ch' egli il facesse nel Canto XIX. del Purgatorio, ove le passioni ed i vizj manifestamente rappresentò colle bellissime sembianze di lusinghevole Sirena :

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Nè la interna deformità di costei fu palese al Poeta, se non quando altra Donna santa ed onesta, cioè la virtù o come altri in tendono la filosofia, fendendole i panni, ne discoperse il ventre contaminato. Però se conformemente alla dottrina istessa di Dante, non altrimenti si può conoscere la turpitudine de' vizj che per mezzo della virtù o della filosofia ne segue, ch' egli non avrebbe potuto scorgere l'orridezza della selva, fuorchè superato l'opposto monte, o compiuto con Virgilio il maraviglioso viaggio. E quale de' commentatori ne seppe dire perchè quella selvosa valle, immagine delle passioni, e de' vizj, Dante chiamasse più volte deserta? E perchè Beatrice temesse si forte d' essersi troppo tardi levata al soccorso di lui? Con che parmi recasse offesa non lieve alla divina clemenza, la cui mercè spesse volte fu bastevole poco pianto a lavare tutte quante le brutture dell' anima, e ad acquistare premio d' infinita salute. Di che il Demonio ben si dolse all' Angelo di Dio con quelle parole che sono nel V. Canto del Purgatorio ;

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o tu dal ciel perché mi privi? Tu te ne porti di costui l' eterno Per una lagrimetta che 'l mi toglie. Sebbene può maggiormente sull' animo mio un' altra considerazione. Somiglianza fra alcuni simboli in una medesima allegoria é aperto indizio di somiglianza infra le cose per essi rappresentate. Quindi se gli espositori giudicarono (il che era mestieri) che Dante per lo Veltro dinotasse Can Grande degli Scaligeri Signore di Verona, come potè loro cadere in animo che per la lonza, per lo leone e per la lupa egli avesse voluto significare tre vizj? E sa Dio quale somiglianza essi rinvennero fra Can Grande della Scala uom vivo e vero ed alcune astratte e intellettive cose di morale siccome sono i vizj, e le passioni dell' animo. Una delle quali ( giusta il loro comento) cioè l' avarizia rappresentata colla lupa porse grandissimo spavento all' animo del Poeta, e più che non fecero ( nè io so perchè le altre due simboleggiate colla lonza e col leone. Per la qual cosa egli si volse tutto tremante a Virgilio, dicendo. Ajutami da lei, famoso saggio,

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E Virgilio, novello soccorritore contra 'l vizio dell' avarizia, promisegli di farlo salvo da quella fiera; e per più suo conforto soggiunse, che indi a poco tempo verrebbe il veltro che quella caccerebbe di città in città, e ucciderebbela, e rimetterebbela nell' inferno. Perciò se la lupa s' interpetra l'avarizia del Poeta, ¿ bello a pensare (di che rise il Gozzi) che un Principe potentissimo dovesse armarsi a combattere l'avarizia di Dante es' ella s' intende in genere l'avarizia, consegue per le parole di Virgilio, che da Can Grande in poi non v' avrebbe più avarizia nel mondo. Strane cose, sulle quali per cinque secoli non era caduto sospetto !

Ma fortissimo e principale argomento al nostro proposito avrà chi consideri le acerbe fortune, e l' indole nobilmente altera di Dante Alighieri. Il quale, pieno di un grande amore di se medesimo che fu in lui (come il Gozzi notò ) per così dire ani

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