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Scritti scelti inediti o rari di Giuseppe BARETTI, con nuove Memorie della sua vita. Milano, 1822

e 1823, Bianchi, tomi 2, in 8.°

Ecco un di que' libri, la cui lettura, per quanto

si ripeta, non arriva ad istancare giammai, anzi riesce quasi sempre nuova e piacevole, sia per la verità e schiettezza con che è scritto, sia per quello incantesimo di stile che seduce, strascína, ed abbaglia, e che non è insegnato nè dall'arte, nè dalla dottrina, ma dettato dalla natura e dal buon senso, senza pretensione e senza sbellettamenti. Rari sono gli scrittori, che, al pari del Baretti, uniscano a molto criterio ed a vasto sapere una gagliardia di mente e di cuore, alla quale ogni umano riguardo sagrifichino, a costo pur anco della propria fortuna e tranquillità. Ma rari pur sono, anzi rarissimi, quelli che al par di lai saranno sempre avidamente letti e studiati da coloro, che il vero e il bello nelle lettere preferiscono a tutto. L'Italia e l'Inghilterra conservano ancora parecchi individui che conobbero ed ammirarono personalmente il Baretti, benchè già corra il trentesimosesto anno da che fini di vivere; e l'animosa sua voce risuona tuttora in quegli ampj depositi dello scibile umano, che diconsi biblioteche, e ne' gabinetti de' letterati, e la scioperao la timidezza, o l'adulazione, o l'error ne rimprovera, spesso con rigore forse soverchio, ma sempre con apertissimo desiderio di giovare. Senza quell' asprezza natia, senza quella inesorabilità di giudizio, senza quella tenacità di proposito, che costituiscono il carattere letterario del Baretti, nè le opere sue avrebbono alzato tanto grido in Europa, nè il suo nome rimarrebbesi tanto rispettato fra i dotti. Noi vedemmo negli scorsi anni Bibl. Ital. T. XXXIV.

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riprodursi dai torchi nostri varj· lavori di lui, compresavi pure la Frusta letteraria, che è tra quelli che il fecer più celebre. Savio divisamento pertanto fu quello del barone Pietro Custodi di pubblicar ora, non solo alcune cose che rimanevano inedite di cotanto scrittore, ma eziandio alcune poche delle edite, ma veramente scelte. Il giudizio dell' editore è sicuramente più severo del nostro, forse perchè noi consideriamo nel Baretti un precursore nella professione che esercitiamo ed un modello, di cui però non imitiamo il cinismo e la mordacità, e che può valerci di scusa, ove talvolta sembrassimo troppo austeri ed esigenti.

Nella breve sua prefazione l'editore accenna le varie fonti, dalle quali ha potuto raccorre gli scritti inediti, e le notizie di famiglia del Baretti, e le diligenze ulteriori per esso fatte, dalle quali sembra sperare un sì felice esito, da indurlo ad ana nuova più copiosa edizione di questi scritti scelti, ove la presente si vegga aggradita; e dà conto del metodo da lui in questa tenuto, e della qualità delle Memorie che vi sono premesse. Noi d'ogni cosa ragguaglieremo, principiando appunto dalle Memorie."

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Quattro scrittori hanno preceduto il barone Custodi nella biografia del Baretti, cioè il conte Mazzucchelli ne' suoi Scrittori d' Italia, le cui notizie non oltrepassano l'anno 1754; il conte Franchi di Pont nel tomo VII della Biblioteca oltramontana, la cui narrazione è sovente inesatta e notevole per essenziali ommissioni; il Ginguenè con l'articolo inserito nella Biographie universelle; e il barone Camillo Ugoni nel primo volume della Letteratura italiana della seconda metà del secolo XVIII; il primo assar superficialmente, il secondo assai brevemente, ma con rapida e giudiziosa disinvoltura. Ma il signor Custodi ha preso a tessere un nuovo lavoro sopra elementi originali, avendo avuto sott' occhi tutte le opere del Baretti (salvo tre opuscoli) e più di

quattrocento sue lettere confidenziali ed inedite, ed ha quindi potuto rettificare molte circostanze della vita di lui, e di nuove scoprirne. Eccone quindi l'estratto.

Giuseppe Marc' Antonio Baretti nacque il 25 di aprile 1719 in Torino da Luca, che ivi era architetto; la sua famiglia discendeva dai marchesi del Carretto, ond' è che talvolta Giuseppe ne assunse il cognome, e ne mostrò vanità. Volevasi dapprima farne un prete, ma la natura sua vi si oppose; voleva farsene un architetto, ma una miopia abituale fin dalla nascita lo vietò; si pensò dunque a farlo legale, ma la lingua latina con ferreo metodo insegnatagli da un pedante glie ne fece perder l'affetto, ond' è che si avvolse in uno studio tumultuario e indigesto di belle lettere. Andò alla scuola fiorente del Tagliazucchi, e volle impararvi la lingua greca, ma il padre nel distolse. Venuto a contesa con persona di alta dignità che visitava familiarmente la sua matrigna, dovette ricoverarsi presso suo zio Gio. Battista, che dimorava in Guastalla, avendo poco più di sedici anni. Ivi lo zio lo impiegò con profitto nel negozio Sanguinetti, ove conobbe Carlo Cantoni, colto letterato, il quale nella poesia lo ammaestrò, e i pregi della lingua italiana gli fece gustare, e l'amicizia gli procurò di Vettor Vettori, mantovano, anch'esso poeta di vaglia. Dopo due anni e più andò il Baretti a Venezia, ove contrasse amicizia col veneto Addisson, come il sig. Custodi lo chiama, cioè col conte Gaspare Gozzi; vagò poi qualche tempo, e venuto a Milano divenne confidente del dottor Giammaria Bicetti, che gli procurò la conoscenza de' dotti di quel tempo che componevano l'accademia de' Trasformati, ed ivi rimase tre anni tra le festevoli brigate e l'indefesso proseguimento de proprj studj, e tradusse in verso sciolto i tre libri degli Amori, e quello dei Rimedj d'amore di Ovidio, che vennero stampati ne' volumi 29 e 30 della

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Raccolta de' poeti latini volgarizzati. Mortogli il padre e passata la matrigna a seconde nozze, tornò in Piemonte ov' era nel 1742, ed ottenne l'anno seguente l'impiego provvisorio di custode de' magazzini delle fortificazioni di Cuneo, che durò sino al 1745, nel qual anno passò a Torino, indi a Venezia, donde nel 1747 restituissi a Torino; e qui cominciò allora a spiegarsi in lui quella dispettosa filosofia, che si svolge negli uomini di merito, allorchè sono per troppo lungo tempo bersagliati dalla fortuna, e che costitui poi uno de' lineamenti più rimarchevoli del suo carattere nell' età matura. Noi ripetiamo volentieri le parole del dotto biografo, quando il possiamo acconciamente. In questi dodici anni successivi alla sua fuga da Torino il Baretti cominciò ad acquistar nome per varie sue poesie, massimamente piacevoli, a cagion delle quali venne ascritto alle accademie de' Trasformati di Milano e de' Granelleschi di Venezia, tra le rime de' quali trovasi perciò rammentato più volte il suo nome. Poetò anche in istil serio con lode, e ridusse in versi sciolti le tragedie di Corneille, ma poco felicemente, com' egli stesso dappoi confessò. Allora pur cominciarono le letterarie sue gare. La prima fu con un prete da Este, il dottor Biagio Schiavo, vecchio presuntuoso e litigatore, a cagion di un sonetto, e la sostenne con tre lettere da lui stampate, che sono mordacissime e piene di sale. La seconda ebbe un più serio argomento, un più potente avversario ed una più fatal conseguenza, e nacque dall' aver egli il Baretti con un Primo cicalamento posta in ridicolo la ciurmeria del dottor Giuseppe Bartoli, professore di belle lettere a Torino, che avea tolto ad esporre la Vera spiegazione del Dittico Quiriniano. Questa gara fu per costargli una perpetua prigione, se non avesse saputo difendersene, ma gli levò ogni speranza di ottenere un impiego in patria, ch'era lo scopo cui con ogni studio aspirava.

L'occasione di poter essere impiegato nella direzione del teatro italiano di Londra, avvalorata dagli studj già da lui fatti della lingua e letteratura inglese, lo indussero a portarsi colà nel febbrajo del 1751, e rimanervi più di nove anni. Apertavi anche scuola di lingua italiana, potè vivervi senza stento. Coltivò al tempo stesso la lingua del luogo, e la francese, e la spagnuola, e seppe scrivere in esse,. e pubblicare di là a pochi anni varie operette, al merito delle quali riuscì superiore di molto il Dizionario inglese-italiano, che stampò nel 1760. Tornò verso la fine di quest' anno in Italia, e non trovando in patria lusinga d' impiego, venne a Milano, ove lo invitaron gli amici, che perciò lo introdussero presso il conte di Firmian, ministro plenipotenziario imperiale. Non so con quanta giustizia il sig. Custodi in questo luogo dica di questo ministro, che si era prodotto come il mecenate de' buoni studj e degli studiosi, nè l'esperienza, avea avuto per anco bastante luogo di chiarire che questa pregevole qualità dovea essere in lui circoscritta alle officiose accoglienze, e all' ammasso indigesto di una biblioteca e di una galleria (pag. 85); so che tutti i monumenti letterarj di Lombardia di quell'epoca, e di quindici e più anni consecutivi ci rappresentano il conte di Firmian qual uno dei più sinceri ed appassionati favoreggiatori d' ogni specie di merito e di bello e util talento; e so che a togliere questa fama a tant' uomo non basteranno, le testè riportate parole, che abbisognerebbero di lungo commentario per ben sostenerle.

Ivi il Baretti pose in ordine il ragguaglio del suo ultimo viaggio, in lettere famigliari scritte a' suoi fratelli, il primo tomo delle quali fu impresso nella state del 1762. Ma sembrando al ministro di Portogallo in Italia che le cose dette della increanza e poca ospitalità di alcuni della plebe portoghese offendesse l'intera nazione, e fattane lagnanza al conte di Firmian, questi sospender fece il

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