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Nota 21. cap. 89.

DELLE PUBBLICHE CURE) Anche qui duolsi il Ferlet di non intendere il Testo; e vuole che si rimuova, come spurio ed intruso, quanto sta scritto da vulgus sino a sentire; per la ragione che Tacito, nel capitolo antecedente avendo detto nullus ordo metu aut periculo vacuus, se ora dicesse communium cu rarum expers populus,cadrebbe nella contraddizione più mostruosa poichè egli vuole che populus denoti non la plebaglia, ma la totalità d'un corpo politico, un' intera nazione. Quel galimathias! egli esclama. Qui narra l'intera nazione libera d'ogni cura, communium curarum expers populus, mentre poche righe innanzi asserì, che ogni Ordine era in travaglio o in perico. lo, nullus ordo metu aut periculo vacuus. Possibile che niun interprete innanzi a lui si accorgesse di tanto sconcio? Vediamo dunque s'ei ben s'apponga, o sogni ad occhi veggenti.

Incominciamo ad istruire il Ferlet, poichè protestasi d'ignorarlo, che populus non sempre denota nazione intera. Talvolta denota plebe in opposizione a' patrizi ed a'cavalieri: talvolta quella porzion della plebe, che da'Latini si nominava minuta, è da Tacito in questo Libro cap. 5. plebs sordida, e perciò quella che noi nomiamo plebaglia: talvolta infine si dice de quacumque multitudine ac turba, come alla voce populus co piosamente dimostrasi dal Forcellini. Vulgus poi prendesi ordinariamente a distinzione ed in opposizione di sapiens, come basta senz'altro esempio a chiarircene l'autorità di Cicerone in Bruto cap. 53: scrivendo sapientis judicium a judicio vulgi discrepat. Come dunque il sapiente può essere d'ogni classe, così d'ogni Ordine ha volgo; e volgo furono e saran sempre coloro, che a qualunque classe appartengano, sono di cuore e d'animo vili a segno, che a niuna estimazione per aiuna buona o malvagia opera di qualche strepito aspirar possono. Nobiles atque ignobiles vulgus fuimus, sine gratia, sine auctoritate, his obnoxii, dolevasi Catilina presso Sallustio cap. 20. Chiarito il significato di tali voci, che qui si trovano unite, passiamo a verificare il sentimento di Tacito. Ei nel capitolo antecedente prese a descrivere il turbamento, che agitò Roma per la partenza di Ottone. Poich'ebbe dunque mostrato, come accostuma sempre, ove incontrasi a simili descrizioni, la generale disposizione della città, dicendo ch'era in travaglio od in pericolo ogni Ordine, passa ad esporre i diversi affetti e pensieri non so

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lo di ciascun Ordine, ma de' varj ingegni che ciascun Ordine componevano. Incomincia da' senatori, da'nobili, da' cavalieri. Non è superfluo ricordare al Ferlet, che nobili non si vuol dere per patrizj; perchè la nobiltà romana fu composta ognor di famiglie tanto plebee che patrizie, le quali anzi non solo per opulenza, ma per chiarezza ancora e per nobiltà, frequentemente furono dalle plebee superate. Descritte in corpo le disposizioni di cuore e d'animo di questi ordini, passa a descriver quelle de' saggi, e di quanti o per una vana ambizione, o per una disperata esistenza non si restavano inoperosi ne' turbamenti della repubblica. E con tal descrizione chiude il capitolo antecedente. Ora egli è chiaro, che avendo Tacito preso a descriver gli animi di tutti gli Ordini della Città, lasciava il quadro imperfetto ove compiesse qui la sua descrizione: poichè mancava di notar quanti insensati costituiscono il volgo, e son d'ogni Ordine, i quali adombrò Cicerone pro Planco cap. 4., dicendo non est consilium in vulgo, non ratio, non discrimen, non diligentia ; e di accennar la disposizione della plebaglia, che non solamente forma la maggior classe d'una città, ma è il peggiore istromento ancora d'ogni civil tumulto, non meno per il suo numero, che per le sue qualità di corpo e di spirito. Ma Tacito, esatto sempre nelle sue immagini, appunto in questo capitolo prende a mostrare lo stato della plebaglia e del volgo: sed vulgus, et magnitudine nimia communium curarum expers populus, sentire paullatim belli mala. Che populus debba qui denotare plebaglia, chiaro apparisce dal nominarsi a distinzione e in opposizione non sol de' patrizj e de' cavalieri, ma ancora de' nobili già mentovati, siccome abbiamo premesso. Lo mostra poi sensibilmente lo Storico col nominarlo plebem in questo stesso periodo e col medesimo oggetto: populus sentire paullatim belli mala.... quae motu Vindicis haud perinde plebem attriver ant. Lo esige infine l'indole stessa de' mali, che qui descrivonsi, e riducevansi a carestia di viveri e a scarsità di danajo: conversa in militum usum omni pecunia, intentis alimentorum pretiis: poich' egli è fermo che Tacito disegna sempre tal plebe, ove nomina popolo, caritate annonae tumultuante; perchè se il ventre non è suo Dio, ha certo la sua ragione nel ventre. Quindi non disse intelligere, videre, percipere, ma sentire. È chiaro poi, che tal popolo, costretto ad accattar la vita con ogni vile esercizio, non poteva nemmen comprendere la gravità delle pubbliche cure; perchè, tolto

gni genere di Comizj, non che i Tributi ed i Centuriati, fin sotto la signoria di Tiberio, non rimanevagli nemmen la pubblica piazza, ove confusamente erudirsene. Se res communis valse anche per i Latini antichi res publica, come ne attesta Sisenna appo Nonio cap. 12. num. 18.; niuno potrà vietare che qui communium si prenda per publicarum, come vuole assolutamente la qualità del concetto. Ed ecco, s'io mal non m'appongo, libero Tarito d'ogni contraddizione, e salvo il Testo dalle ruine, che gli minaccia il Ferlet.

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A SPESE DI GIO. MAGHERI E GIUSEPPE MOLINI E COMP,

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