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ehe tosto corsero a festeggiarlo; gli amici, che ne attestarono la loro gioja ne' templi; e le città, che con vittime e ambascerie a lui stesso la protestarono cit. cap. Primi furon que' Savj, che l' animarono titubante ad ordir tale scelleratezza Ann. lib. 13. cap. 21. ed a consumarla poich' era vana riuscita Ann. lib. 14. cap. 7. : quel Burro in somma e quel Seneca, un per dottrina, l'altro per probità venerati, il primo de' quali spinse il Liberto a compiere il parricidio cit. cap. 7. l'altro con istudiata orazione giustificò Nerone del parricidio in Senato cap. 11.E a Burro e a Seneca tutto il Senato s'aggiunse, il quale pressochè non divinizzò Nerone ancor vivo per il compiuto misfatto cap. 12. E perchè niuno patisse di tal vergogna, tosto si uni tutta Roma fattasi ad incontrarlo e riceverlo come trionfatore, e con sì folle esultanza, che non mostrossi più lieta a' trionfi dell' Affricano cap. 13. Fu tal viltà, che lo spinse a ringraziare sino gli Dei d'averlo pel parricidio così raffermo nella tirannide da potersi impunemente poi trarre ad ogni dissolutezza cit. cap. 13. Che dirsi dunque d'un popolo, che presumeva di scorgere negli accidenti il presagio della rovina imminente di un empio principe, ch' egli medesimo e confermava ed avvalorava in ogni empietà ? Il meglio a dirsi era certo, che que' prodigi avvenivano veramente per volontà degli Dei, ma che all' opposto s'interpretavano, non potendo significare che quanto l'esito dimostrò, cioè peggiore tirannide, a punizione e del popolo e del tiranno, che ne sarebbe con tardo ma peggior crollo caduto, che se all'istante punitone di saetta : non altrimenti che si pensò de' prodigj occorsi alla uccisione di Cesare,quae quidem illi portendebantur a Diis immortalibus, ut videret interitum, non ut caveret Cic. de Div. lib. 1. cap. 52. Ma Tacito, se non con pari istruzione, con egual pietà certamente,si contentò di deridere così stolida presunzione con osservare, che que' prodigj tutt'altro manifestarono che la divina parzialità per un popolo,non d'altro degno,che di peggiore tiranno. E ciò, se mal non mi appongo, esprimono le sue parole medesime. Perchè il quae circoscrive la sua sentenza alle cose ivi narrate,in modo che non può trarsi ad altre, ch' egli medesimo assicurò provenute per volontà degli Dei. E quali furono siffatte cose? Prodigia, avvenimenti che la divina volontà palesa vano, come il valor della voce, e più dichiara l'aggiunto irrita, non potendosi dire riuscita vana o senza effetto cosa, la qual non si creda essere, ed esser tale, che possa di sua na

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tura produrre ciò che argomentasi. In fatti, ove leggiamo remedium irritum, irritae preces, irritum testamentum, irrita tela, non giudichiamo della invalidità di tai cose, se non credendone l'esistenza. Egli dunque non potea meglio mostrar d'avere tali accidenti a prodigj, che dichiarandoli irrita, perchè male intesi e peggio congetturati, e ciò per vizio degli uomini, non delle cose: male conjecta, maleque interpretata falsa sunt, non vitio rerum, sed interpretum inscientia Cic. de Div. lib. 1. cap. 52. In fatti non disse egli sine Deum ope, nutu, consilio, numine; ma sine cura. Or cura, ne insegna Festo, dicta est quod cor edat, vel quod urat talchè dottamente fu diffinita vehemens et anxia animi solicitudo; lo che dir non potendosi degli Dei, gli è manifesto che, di lor detto,non altro può denotare, se non parziale e benevola disposizione; e per chi? non per il Principe, a cui secondo i detrattori di Tacito continuaron l'imperio e sicurtà di misfatti. Dunque per Roma; ed a che? a trarla d'una tirannide, in cui vieppiù da sè stessa s'inabissava. Pone poi il colmo a tutto ciò l'eveniebant, che di sua propria natura denota venir fuori, e consuona con la maniera, onde credevasi che i prodigj si producessero dagli Dei, cioè coll' aver essi sin dal principio del mondo così fra loro intrecciati i segni e gli avvenimenti, che quelli venisser fuori, evenirent, a misura che que sti si sviluppavano: ita a principio incohatum esse mundum, ut certis rebus certa signa praecurrerent Cic. de Div.lib.1. cap. 52. Non mi dorrà certamente d'esser disceso a minuzie grammaticali, se avrò potuto per esse giustificare la religione ed il senno di tanto Storico .

Nota 2. cap. 16.

A MISCHIA) Il Testo è qui palesemente corrotto, come dimostra la discordanza de' Codici e degl' Interpetri. Poichè mentre nel Codice Fiorentino leggesi rueretur, il Budense ha ruerentur, quello di Agricola erueret, il Guelferbitano utque eruebantur, l'Edizion principe ruerent. Ma se vizioso dee riputarsi il rueretur del Codice Fiorentino, perchè discorda con il plurale discordiae, deesi ancor tale stimar l'eruerent, che in quel di Agricola incontrasi, perchè non fu eruo adoprato mai daʼLatini ad uso de' neutri. Il ruerent però della Edizione principe, offrendo una falsa immagine, vuolsi bandire egualmente.

Imperocchè, se Virgilio di ruo si valse a denotar lo scoppio di cento voci, che uscivano per cento porte Aeneid. lib. 6. vers. 44.

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ostia centum,

Unde ruunt totidem voces, responsa Sibillae; chiaro è, che volle con l'impeto di tal verbo esprimere il mugghio, il tuono, il fragore, onde scuotea la caverna la già invasata Sibilla, e tutto il furor dipignere che l'agitava: vers. 47. et seqq.

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non vultus, non color unus,

Non comptae mansere comae; sed pectus anhelum,
Et rabie fera corda tument; majorque videri,
Nec mortale sonans, adflata est numine quando
Jam propiore Dei.

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immanis in antro

Horrendas canit ambages, antroque remugit. Ora, per quanto vogliam supporre che s'infiammassero nel disputare i filosofi, non avrebbero osato mai certamente di muovere tal tumulto di grida e strepiti da irritar l`ira d'un principe, il qual neppur ne' piaceri lasciando d'inferocire Ann. lib. 15. cap 35. avrebbe spenta in un attimo ogni importuna loquacità, appena che di trastullo si fosse cangiata in noja. La qual riflessione ci vieta ancora di leggere con il Budense ruerentur; perchè non potendo qui prendersi passivamente, qualora pure sia lecito, che nell' attivo significato, talor familiare a ruo, di egerere, cum impetu efferre, impellere, da lui presentasi la stessa immagine, che da ruerent. Talmente che mal s'apposero i Bipontini, congetturando, che si dovesse leggere, ut qui contraria asseverarent, in discordias ruerent: poichè ruo in tale significato non suona, che rovinare, precipitarsi furiosamente a cose di atroce, se non disperato, successo, come dimostrano tutti i luoghi, ne' quali in tal senso sta posto ruo, dandone bastante esempio Virgilio Aeneid. lib. 8.

Aeneadae in ferrum pro libertate ruebant.

A niuna certo di queste eccezioni soggiace l'atque eruebantur del Codice Guelferbitano. In fatti l'eruebantur, adottato dal Beroaldo con cangiar l' atque in utque, fu conservato dall' edizioni a lui posteriori, e talmente piacque al Gronovio, che in quell' ut, preso per quasi, protestasi di trovare una certa enfasi propria del calore di Tacito. Tuttavia, se riflettiamo

quanto sia grande l'irritabilità de' filosofi, quanto sien essi facili ad alterarsi nel sostener le proprie sentenze, quanto la boria loro di riuscir vittoriosi nelle lor risse; dovremo pur confessare che niuna forza esigevasi per infiammarli a mischia, unendosi principalmente ad accenderli l'ambizione di segnaJarsi alla presenza del Principe, a cui per semplice impulso di vanità servivano di trastullo. Ora eruo, che denota scavare, trar fuori, esprime azione di forza, talchè mal si userebbe per estrar cose che sortono spontaneamente, nè potrebbe mai con esempj giustificarsi. Seneca in fatti assai propriamente l'adoperò per adombrar la forza di un gran dolore, capace di estrar petto i più riposti segreti, Troad. vers. 580.

dal

Dolor pectore imo condita arcana eruet. Non solo dunque si deve escludere l'eruebantur del Codice Guelferbitano, e l'eruerentur proposto dal Puteolano, adottato dall' Óberlino; ma molto più l'utque in senso di quasi; perchè, in vece di aver dell'enfasi, manca ancora di verità. Egual ragione vuol che rifiutisi il quaererentur propostosi dal Renano, a cui l' Ernesti non dubitò di preferire il riderentur dell'Einsio,senza riflettere, che verrebbesi con tal verbo ad estenuare un concetto, già vivamente e gravemente adombrato con l'inter oblectamenta regia e il post epulas .

Poichè dunque niuno de' verbi, che si presentan da' codici dagl' interpetri, può convenire all'immagine qui disegnata da Tacito, io non esiterò di sostituire exardescerent; perocchè questo è il verbo, di cui si valsero costantemente gli aurei scrittori per denotare principalmente i moti d'ogni passione. Anzi fu dal maestro della romana eloquenza usato assolutamente a disegnar l'ira accesa per disputa tra letterati e filosofi. Così de Orat.lib.3.cap.1.non tulit ille, et graviter exarsil: eTuscul. 5. cap. 29. Carneadis ingenium contra Stoicos exarserat. E il nostro Storico, oltre all' usarlo frequentemente a denotare il moto delle libidini e delle sedizioni, lo adopera spezialmente a disegnare il tumulto di gare e dispute Hist.lib. 2. cap. 38. prima inter Patres Plebemque certamina exgrsere. Alla discordia poi tanto più si conviene, quanto è più acerba dell' ira, come notò Cicerone Tuscul. 4. cap. 9. discordia est ira acerbior, intimo odio, et corde concepta. Nian verbo dunque può meglio esprimere di exardesco il concetta, che qui si volle adombrar da Tacito.

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LIBRO QUINDICESIMO.

Nota 1. cap. 44.

DI TAL PESTE) Qui si desidera la vantata imparzialità dello Storico; perocchè io credo che niuna infamazione mai si scagliasse con più maligna amarezza e con minor sentimento di umanità. Dimostriamolo.

Tutte le religioni hanno un carattere proprio, per cui ciascuna distinguesi sostanzialmente dall' altre; ed è siffatto carattere costituito dalla parzial maniera, onde ciascuna presenta gli attributi della Divinità creatrice alla venerazione degli uomini, e ne fa regola delle azioni. Adorazione di Dio in ispirito e verità, severità di costume, e fraterna benevolenza, son le tre massime,che la sostanza formano del Cristianesimo,ed alle quali tutte le cerimonie ed i riti suoi si conformano.Ora nè mai più pure brillarono tali massime, come in sul nascere del Cristianesimo;nè Tacito poteva ignorarlę. Poichè i Cristiani a' suoi giorni eran cresciuti a tal numero, che moltissimi omnis aetatis, omnis ordinis, utriusque sexus empievano non civitates tantum, sed vicos etiam atque agros per testimonio di Plinio il giovane Epist. 97. lib. 10. Ma posto ancora che le ignorasse, poteva agevolmente istruirsene dirigendosi appunto a Plinio: perocchè questi fu quegli, qui inter caeteros judices persecu tor datus erat contro i Cristiani dall' imperadore Trajano, come testifica Orosio. Ed egli con tal fervore vi si adoprò, che mise speranza al Principe di arrestare i luminosi progressi del Cristianesimo. Pure nel provocar contr' essi il rigor di Cesare. ingenuamente protesta di averli trovati esenti d'ogni malvagità: nihil aliud inveni, quam superstitionem pravam, immodicam, la quale superstizione si restringeva tutta a cantar lodi a Cristo, e ad obbligarsi con giuramento a non commettere al cuna ribalderia: hanc fuisse summam vel culpae suae, vel erroris, quod essent soliti stato die ante lucem convenire, carmenque Christo quasi Deo dicere secum invicem seque sacramento, non in scelus aliquod obstringere, sed ne furta, ne latrocinia, ne adulteria committerent, ne fidem falle rent, ne depositum appellati abnegarent. E se altra volta si univano, oltre ai devoti lor cantici, era per convitare insieme innocentemente: coeundi ad capiendum cibum, promiscuum Note agli Annali Tom. III.

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