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sol mi si attenga, di avere inteso il concetto come se Tacito avesse voluto esprimere l' intensità dell' odio, che ardeva tra' Lionesi e' Viennesi, ed era tale, che non calmavasi per niuna occasion di pace che offrivasi dalla loro contiguità; volendo egli, che debba intendersi come tra due città neraiche, e di sì poco divise, odio che, accendasi, arde poi sempre implacabile. Io mi darei per colpevole se la storia mel consentisse. Ma questa non mi sovviene d'alcun esempio, per cui ciò possa affermarsi, fuori di due contigue città rotte ad odio per gelosia d'imperio, la qual dal P. Petrucci par che si creda nascere solo tra grandi nazioni; ed ingiustamente; perchè s' accende ancora tra piccole, e di tal fiamma, che ne son poi consumate, come gli annali di Grecia e Italia palesano. Tra queste dunque, picciole o grandi che sieno, l'odio è congenito anche a sentenza di Tacito Hist. lib. 5. cap. 1 ; e se un più forte non s'interponga di forza o d'autorità, non cessano di straziarsi che con lo spegnersi. Ma tra città d' una nazione medesima, e ad un medesimo principe sottoposte, potrà pur nascere ciò, che tra❜figli d'un padre stesso, emulazione ed invidia, che rara rendono la concordia, ma raro egualmente l'odio, e raramente impla cabile, de' fratelli ; perchè, se la continua dimestichezza e i naturali rispetti possono muoverli più facilmente a brighe e rivalità, debbono ancor con eguale facilità richiamarli a pace e benevolenza. E se pur mal non m' appongo, questo è pur ciò che lo stesso Tacito avvisa in questo luogo medesimo; poichè, se avesse creduto si naturale a nascere ed a durare continuo l'odio, come l'emulazione e l'invidia, già non avrebbe al solo odio ristretta la riflessione sulla propinquità de' due popoli. lo dunque consentirò col P. Petrucci, che tra città vicine v'ha più motivi di gare, brighe, discordie; ma ei dovrà pure consentir meco, ch'havvi eziandio, spezialmente per la uniformità di costumi e di lingua, maggior corrispondenza di voglie, continua necessità di commercio, e maggior copia di parentadi. Or la ragione e la storia concordemente ci mostrano, che, se non gli unici, son questi certo i maggiori vincoli orditi dalla natura per tenere in concordia gli uomini, spezialmente d'egual governo e nazione, e per ritrarli dall' ire ove pure vi trascorressero. Lo avrebbe ignorato Tacito? Lascerò ch'altri lo credano.

Nola 16. cap. 71.

SOSPETTA) Non v'ha luogo più travagliato di questo, perchè creduto così corrotto da non potersene trarre sentenza alcuna verace e solida. È vano addur le querele le congetture e le audacie del Lipsio, del Freinsemio, del Renano, del Gronovio, e del Richio, perocchè basta ascoltare il Ferlet. Queste parole ne hosti metum reconciliationis adhiberet debbono, dice egli siccome intruse bandirsi 1. perchè n'è oscuro il pensiero: 2. perchè, quantunque nol fosse, egli è sì languido, che ripugna alla rapidità di Tacito: 3.° perchè la frase metum alicujus rei alicui adhibere non è latina . Esaminiamo partitamente il valor di tali ragioni. L'oscurità d'un concetto, benchè provenga dalla maniera poco felice di esprimersi di uno scrittore, non dà ragione perchè il concetto rimuovasi come spurio. Potrebbe darnela, ove sol nasca tale oscurità dall'interprete, che la sostanza ignori di quel concetto ch' esprimesi, ed il valor delle voci adoperate ad esprimerlo? In quanto alla rapidità, non è questo il luogo, ove ne manchi Tacito; perchè nè Sallustio, nè Persio stesso poteano stringere in minor volume il pensiero. Può certo l'improprietà, come la trivialità delle voci, illanguidire un' immagine. Ma dobbiam pure maravigliarci, che un antico Professore della Università di Parigi, quale si annunzia il Ferlet, non dubiti di asserire, che la maniera adoperata da Tacito non è latina . Quando egli non volea consultar l'Elsnero, il quale in schediasm. Crit. p. 79. la mostra in uso presso scrittori gravissimi, potea consultare i Lessici, che lo avrebbono ammaestrato, come adhibere non solamente significa exibere, offerre, dare, afferre; ma inferre ancora, imprimere, incutere: e quindi insegnatogli, che unito a metum denota propriamente injicere, movere metum alicujus rei; efficere, ut aliquis quid metuat, come dimostra l'Elsnero. Né a sostenere l'oscurità del concetto vale ciò che riflette l'Ernesti sulla parola hostis, cioè che questa non possa latinamente prendersi per inimicus. Poichè, o fosse inimicus per i Latini is, quocum habemus privata odia, o fosse is, qui nos odit, come altri vogliono, chiaro è che Celso non volle qui presentarsi da Tacito come inimicus di Qttone, ma come hostis, che da' Latini fu detto de quocumque adversario, e spezialmente de eo qui oppugnat, benchè più frequentemente de eo, cum quo bellum publice habemus. Celso era Consolo eletto ; dun

que già riguardavasi qual magistrato supremo della repubblica Celso era legato a Galba, come ad imperadore, non sol da’soldati eletto, ma dal Senato e dal Popolo; egli era dunque ad Ottone avverso, non per privata malevoglienza, ma perchè lo stimava ribelle al principe e turbatore della repubblica. Doveva dunque chiamarsi hostis, qual era, non inimicus di Ottone.

Chiarite siffatte cose, agevole è dimostrare qual vera e solida sentenza sorgane. Voleva Ottone guadagnar Celso, uomo d'illustre nome e di romano carattere. Doveva guardarsi dunque primieramente di non avvilirlo con un perdono, in secondo luogo di non adombrarlo con una riconciliazione, che avesse color di trama per invescarlo. Il primo lo avrebbe con il dispetto, il secondo con la paura irritato, e l'uno e l'altro resogli Celso peggior nemico. Ottone dunque, per evitar tal pericolo, statim inter intimos amicos habuit, et mox bello inter duces delegit.

Nola 17 cap. 72.

VIA PIU' BREVE) Anche di questo luogo duolsi il Ferlet, che sia guasto quanto l'antecedente. Riprende egualmente e il Brotier, che legge unito in un membro quia velocius erat vitiis adeptus, e tutti gli altri, che quia velocius erat pongono fra due virgole, ed offrono tal sentenza avendo per la via del vizio, perch'era la più breve, ottenuto i premj della virtù. Egli condanna primieramente, come pur fredda e languida, tal sentenza. Domanda poi bruscamente, ove si è visto che illud velocius est significhi cela est plus court? asserendo, che velox dicesi di chi fa cammino, non della via che si fa. Non è mia cura giustificare il Brotier. Quindi ci applicheremo a dissipar le censure mosse contro chi legge diversamente. Vinio, vituperoso giovane, esercitò scelleratamente gli onori, ch'egli acquistossi co' vizj, pe'quali ad essi giungevasi più prestamente: questa è la sentenza di Tacito. Or io domando a chi ha fior di senuo, se dir si può fredda e languida una sentenza, che stretta in poche parole aggirasi su queste due verità, cioè che la potenza con quelle arti si esercita, con le quali fu procacciata veri à posta in piena luce da Sallustio e da Tacito; e che i vizj menavano in quella età più prestamente agli onori, verità che la sola indole di que' principi attesterebbe, ove pienamente le istorie non l'attestassero? Il non conoscere l'importanza di que

ste due verità, e la relazione loro con la fortuna di Vinio puỡ far parer fredda e languida tal sentenza, nella qual tutti coucordano, fuorchè il Brotier. La maraviglia però maggiore è che un interprete di tanto polso ignori che da' Latini si disse velox pur della via che si fa. Che s' egli brama sapere ove ciò trovisi, gli additeremo Seneca, che nella Troade vers 398. chiama la morte velocis spatii meta novissima, ov'è palese che velox spatium quivi si dice spatium, quod cito decurritur; e più chiaramente nella Medea vers. 190, ove appunto leggesi velox via. E con Seneca usò pur dirlo Marziale epigr. 2. de spect. Hic ubi miramur velocia munera thermas, non altro denotando velocia se non celeriter extructa.

Nota 18. cap. 8o.

GUADAGNATA) Et obsequia meliorum nox abstulerat ha il Testo, che si traduce dal Dureau de la Malle et l'on n'avait pas la ressource des bons, qui dormaient dans ce moment, a cui fa plauso il Ferlet, commentandolo les bons, dont l'obéissance auroit pu servir à contenir les mauvais, étoient retirés, conformément aux loix de la discipline, et dormoient. In quale profondo souno doveano essere immersi per non destarsi al tumulto, che tenea tutto in romore il campo? È egli possibile immaginarlo? Non posso però convenire col Davanzati, il quale cosi lo volge e non lasciava il bujo obbedire i migliori; perchè tal frase viene a significare, che i buoni erano non solo pronti, ma in atto ancor di prestarsi a' cenni de' soprastanti, ma che il bujo non lasciava comprendere ed eseguir tali cenni debitamente. Or altro è il senso, a mio credere, di tali voci. Per dimostrarlo basta accertare due verità: la prima ch' era devoto ad Ottone l'intero campo; l'altra, che quantunque i ribaldi si meschiassero allo scompiglio per bottinare, ed il volgo per la brama innata di tumultuare, pur la sollevazione nacque dal sospettarsi che l'armi si preparassero contra Ottone, e in conseguenza nacque per l'affezione ad Ottone. I buoni dunque, per la giurata fede devoti a lui, quanto i ribaldi almeno ed il volgo, avrebbono obbedito essi al Tribuno ed a'suoi ministri, avendo questo apprestate e mosse quell'armi, che l'esercito sussurrava spedirsi contro di Ottone? Poteva esser ciò falso; ma come verificarlo nel bujo? Il miglior espediente duaque pe' buoni era tenersi quieti per non accrescer la briga unen

dosi agli adirati, o peggiorarla ancora, loro contrapponendosi ; non muoversi in somma agli ordini de' soprastanti contro i felloni, Ora tal quiete nella sostanza fu connivenza al tumulto. Se i buoni si fosser mossi al cenno de' loro capi, nè altro avesser fatto le tenebre che impedir loro di eseguir gli ordini esattamente contro i tumultuanti, gli è chiaro che la cieca e feroce lor resistenza avrebbe moltiplicato il disordine, la sedizione, e la strage. Lo avrebbe Tacito pretermesso, mentre pur narra, che i centurioni più austeri e il sol Tribuno si trucidarono, e trucidaronsi perchè fecero resistenza?

Nota 19. cap. 83.

ACCATTATO) Adotto l'interpretazione che ad ambitioso qui dassi dal Forcellini verb. ambitiosus, cioè che ambitiosum imperium suoni precarium, ottenuto cioè con prieghi, dicendosi da' Latini precarium tutto ciò, quod habetur ex precibus; quod tandiu obtinetur, quandiu is, qui concessit, permiserit; e consente con l'usuale significato del sostantivo ambitio, che prendesi generalmente pro quacumque petitione et enixis precibus. E Tacito stesso mostra assai chiaramente che debba prendersi in cotal senso: perchè nel capitolo antecedente dipinge Ottone, non con forza e dignità principesca, ma con preghiere e con lagrime affaticarsi a spegnere il furor de' soldati: donec Otho, contra decus imperii, thoro insistens, precibus et lacrymis aegre cohibuit. La nostra voce accattato, nel senso di mendicato, esattamente risponde alla voce ambitiosum nella significazion di precarium.

Nota 20. cap. 88.

DELLA COMMOSSA CITTA') Altri leggono motae urbis curae; altri motae urbis cura; ed altri mota urbis cura; e di questi, altri prendono mota in nominativo, riferendolo a cura, e sottintendendovi fuit; altri in caso ablativo, intendendo mota per excita, e cura per sollicitudine. Qualunque lezione seguasi non v'ha disordine. Io leggo motae urbis cura, solo perchè mi sembra il concetto offrirsi con maggiore eleganza.

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