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impendentium cura vacans. Ma senza badare a' Lessici, un luogo di Cicerone Tuscul. lib. 5. cap. 42. c' insegna ad apprezzare il concetto giusta il valor di questo vocabolo: qui autem illam maxime optatam et expeditam securitatem (securitatem autem nunc appello vacuitatem aegritudinis,in qua vita beata posita est) habere quisquam potest, cui aut adsit, aut adesse possit multitudo malorum? I Romani non solamente eran gravati di mali atroci, aut adsit; ma di peggiori ancor minacciati, aut adesse possit: qual dunque tranquillità, securitas, poteano attendersi? E le presenti e future calamità donde si generavano? Dai loro vizj e dalle loro scelleratezze. E in questi chi l'indurava, se non chi già ve li spinse? Il tenor de loro costumi a dispetto ancora d'ogni benevola dispo sizion degli Dii, propitiis, si per mores nostros liceret, Deis. Perchè i Romani non conseguisser la pena de' loro vizj e misfatti, avrian dovuto gl'Iddii cangiar natura agli uomini od alle cose, giacchè il vizio non potè mai generar la pace, sia d'uomo sia di città, per sentimento di niuna setta, non che di qualsisia religione, così pensando per testimonio di Seneca Epist. 97. anche lo stesso Epicuro; e quegl' imperj, ove i costumi degli uomini non han pace, forza è che sieno straziati da ogni ragion di calamità, sinchè ne sieno distrutti. Non fu dunque Tacito empio coutro gl' Iddii, se non quant' egli fu falso nella esposizion degli avvenimenti; giacchè niun certo lo avrebbe rimproverato se avesse scritto che non poteano i Romani essere se non puniti da' lor costumi secondo la nobil frase di Cicerone ad Att. lib. 9. epist. 12: illum ulciscentur mores sui, Ma questo appunto, chi ben avvisa, egli scrisse ; se non che, a ravvivare la pietà pubblica con la espression della propria, volle nobilitare e corroborare il concetto coll'inculcare esser ciò opera degli Dei, i quali così costituirono gli uomini, che non potessero trarre se non calamità da' lor vizj . Intendimento tanto più nobile, in quanto che, siccome ho nel Proemio avvertito, tal era in tante malvagità la presunzion de'Romani che si credeano ancora nel mondo i soli accetti agl' Iddii; ed era si generale tal presunzione, ch'io mal ne diedi l'esempio mostrando Tacito animar d' essa lo stesso Ottone, giacchè dovea mostrarne guasto lui stesso, che non si tenne di credere e d'affermare che si espugnassero città barbare, ed armi barbare già vincitrici si sbaragliassero, e si operasse lo strazio d'intere genti, se non per opera degli Dii, custodi ancora gelosi della grandezza romana Ann.

lib. 13. cap. 41; Hist. lib. 4. cap. 78. Germ. cap. 33. Intanto mentre dal Lipsio e dal Brotier d'empia e d'atroce si sgrida questa sentenza; contro l'autorità di Lattanzio, e contro ancora la verità della storia della filosofia, dal P. Petrucci tacciasi di epicurca; essa è talmente da dotti scrittori e pii commendata, che giunge il Ferlet sino a chiamarla degna d'un Padre del Cristianesimo, e di meditarsi da' popoli miseramente immersi in ogni nefandità; talchè ciò solo bastar dovrebbe a portarne miglior giudizio per quanto abbiam ragionato nella nota 1. cap. 12. lib. 12. Ann.

Nota 5. cap. 4.

FORTUITI) Il P. Petrucci risveglia i dubbj e le querele del Lipsio sul qui plerumque fortuiti, che io lasciai d'illustrare perchè molti erano sorti a proteggerlo, senza che altri s'ardisse poi d'impugnarlo; talchè lo stesso Gronovio col dichiarare ch'altri non sono i fortuiti eventus, se non qui saepe contra expectationem eveniunt, gli è manifesto che consentì con l'Uezio, il quale gl' interpretò non praevisi, cioè fortuiti, non in se, sed quoad nos; vale a dire, come altri spiegano concordemente, hominibus, scriptoribusque rerum caussas non introspicientibus ; quali erano stati deffiniti già da Lattanzio Inst. lib. 3. cap. 29: e saggiamente, perchè avvien pure assai volte contra l'espettazione quanto ancor muove di ragionato consiglio, o da cause ancor di natura perfettamente ordinate. In fatti chi si sarebbe espresso più stoltamente di Tacito, ov'egli avesse adoperato fortuiti nel senso argomentato dal Lipsio? Descrivere avvenimenti senza causa e ragione occorsi, perchè dagli uomini se ne avvisino e la ragione e le cause? La necessità di forzare a sì vile assurdo la mente di tanto Storico doveva bastare al Lipsio per trarre da questa voce migliore significato, attesa principalmente la vanità della sua correzione. Poichè non sana la negativa lo storpio, ove si lasci il plerumque; perchè non fa che ridurre a meno le cose, che senza causa ragione si vuol che avvengano, e alcune bastano così credute avvenire per aggravare lo Storico di non conoscere come tutte sieguon per legge costante di provvidenza, che niuna cosa dispose, e niuna pure ne muove senza consiglio. E quando al P. Petrucci fosse paruta lieve l'autorità de' sopraccitati Interpreti per dissentire dal Lipsio, interpretando il fortuiti per inopinali, impensati, non preveduti dal corto e fosco intendimento

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degli uomini, non lieve certo dovea parergli quella di Cicerone, il quale meglio d'ogni altro ammaestraci in qual senso fosse il fortuiti adoperato da Tacito là dove scrisse: medici,et guber→ natoris, et imperatoris praesensio est rerum fortuitarum de Divin. lib. 2. cap. 5. Poichè non solamente non disse; essere senza ragione e causa le malattie che impegnano la riflessione del medico, nè le insidie che vegliansi dal capitano, nè le tempeste che tengono desto l'animo del nocchiero; ma per l'opposito disse, medicus morbum ingravescentem ratione providet, insidias imperator, tempestates gubernator, edaggiunse di tutti e tre che nihil sine certa ratione opinantur loc. cit. Non eran dunque senza ragione e causa le cose dette da Cicerone fortuitae, poichè ratione providebantur da que' che nihil sine certa ratione opinantur; ma erau quelle, che riuscivan sovente contra l'espettazione, ed il giudizio ingannavano de' saggi stessi, perchè sovente la ragion vera e le vere cause non ne avvisavano non vitio rerum, sed hominum inscientia, de Divin. lib. 1. cap. 52. E perchè? Perchè si l'arte medica, che la militare e la nautica conjectura nititur, ultra quam progredi non potest, de Divin. lib.i. cap. 15, ed erano per conseguenza di lor natura fallaci ne' lor pronostici, come son l'arti pur tutte congetturali: quae tandem id ars non habet? earum dico artium, quae conjectura continentur et sunt opinabiles, loc. cit. Ora potrà dall' arti congetturali escludersi la politica, o non più tosto per il più vasto e vario e complicato subbietto dovrà chiamarsi l'arte congetturale per eccellenza? E ad uso della politica Tacito scrisse, pur deesi, la storia, com'egli stesso si protestò Ann. lib. 4. cap. 33; nè può mai l' arte politica, o a proprio governo volgasi o ad altrui, esser com'arte congetturale se non in iis, qui novas res conjectura persequuntur, veteres observatione didicerunt, Cicer. de Divin. lib. 1. cap. 18.Dunque lo Storico, dichiarandoci la ragione e le cause di quelle cose, che avvennero contro il giudizio e l'espettazion degli antichi, e perciò fortuite si reputarono, ci porrà in grado di prevedere per congettura la ragion vera e le vere cause di quegli eventi, che ci sovrastano, perchè improvisi ed impensati non giungano travagliarci ed opprimerci.

come

Nota 6. cap. 8.

NON POTESSERO) Leggo con il Mureto e con l'Acidalio etiamsi queri non poterant; perchè non parlasi qui, come riflette ottimamente l'Ernesti, che del medesimo esercito. Era dunque l'esercito, che non potea dolersi dell'uccisione di Capitone: non già, come vuole il Ferlet, perchè non l'aveva ordinata Galba, e non potesser quindi i soldati per ciò dolersi di lui; ma perchè niun esercito si dolse mai della morte d'un capitano avaritia et libidine focdum ac maculosum, quale descrivesi Capitone nel capitolo antecedente; acquistandosi un capitano per una vituperosa libidine il disprezzo, e per una turpe avarizia l'odiosità dell'esercito. L'indignabantur è quello, che dee riferirsi a Galba assolutamente. Poichè i soldati, o credevano l'uccisione di Capitone ordinata da Galba, e si sdegnavan di lui che la elezione sua con tante atrocità segnalasse, tanto più che vociferavasi Capitone innocente; o la credevano da' Legati operata senza suo cenno, e si adiravan d'un principe, non solamente crudele per sè medesimo, ma che autorizzava ancora i ministri a moltiplicare senza suo voto ancora le crudeltà. Sospettavano essi di esser creduti fautori degl' inimici di Galba: aveano offerto l'imperio a Virginio vedevano esserne Virginio accusato, e presso ad esserne ancora severamente punito: temevan dunque d' essere anch'essi esposti alla ferocia di Galba; e la qualità del principe e de' ministri giustificavan tali paure, le quali sogliono scoppiare in ira ne' forti,

Nola 7. cap. 10.

CHE POSSEDERLO) Non v' ha luogo d'intelligenza più limpida, quanto il presente et cui expeditius fuerit tradere imperium, quam obtinere. Il solo Ferlet si duole di riscontrarlo talmente intrigato e guasto, che giura di non intenderlo; evuole che il solo mezzo da risanarne lo storpio sia di cangiare l'affermativa in negativa, leggendo nec cui in luogo di et cui. Ed è così persuaso di tal sua critica operazionc, che arditamente conclude: Lettore, vedi ciò che ami meglio credere o che i copisti si sieno ingannati, o che Tacito ragioni da sciocco. Ogni lettore si farà certo coscienza di suppor mai tanto storico fuor di senno; ma non vorrà nemmeno tacciar di frode o d'imNote alle Storie Tom. III.

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perizia i copisti senza necesssità. Or siamo così lontani da tale necessità, che dobbiam anzi maravigliarci dell'animosità del Ferlet nel proporre una correzione, per cui non sappiamo s'egli si mostri peggior grammatico, o storico, o critico. Esaminiamolo.

La ragione, che muove il Ferlet a credere guasto il testo, e a racconciarlo in tal forma, è che Muciano viene descritto da Tacito di così destra ed efficace eloquenza da persuadere agli altri ciò che voleva. Ma come, ei dice, poteva asserirlo tale, ove gli fosse stato difficile di farsi nominar principe? L'incongruenza poi crescerebbe secondo lui, quando volesse obtinere imperium intendersi per mantenersi la signoria, come l' intese il Crevier; perchè sostiene che gli avrebbono conservato l'imperio le qualità medesime, che glie lo avessero meritato, S'egli era tanto eloquente, egli dice, da farselo conferire, perchè non lo sarebbe stato abbastanza per impedire che non gli fosse rapito? Ma egli chiede al Crevier, se obtinere imperium possa mai ciò denotare.

Rispondo primieramente al Ferlet, ch'egli esagera l'eloquenza, che dallo Storico si attribuisce a Muciano. Ma supponendola ancor maggiore, gli è manifesto che non avrebbe potuto mai persuadere se non quanto gli fosse stato agevole dimostrare. Aristotile nel Proemio della Rettorica sapientemente ne insegna, che allor ci si presta fede quando abbiam dimostrato, che sta la cosa nel modo che noi diciamo. Per indur altri adunque a conferire un grado, convien mostrare la realtà del merito per conseguirlo. Non sempre questo s' incontra in chi può dimostrarlo. Vaglia l'esempio di Cicerone, il qual non vorrà dolersi il Ferlet che supponghiamo eloquente almeno quanto Muciano. Potè Cicerone persuadere al popolo di affidar la guerra di Mitridate a Pompeo, ed al Senato di armar Ottavio contra d'Antonio. Sarebbe egli riuscito ad ottener dall'uno e dall'altro si gloriosi incarichi per sè medesimo? No; perchè in lui non concorrevano le qualità per assumerli. Il Ferlet doveva mostrarci almeno che Tacito avesse con l'eloquenza unite in Muciano le qualità più splendide per meritare l'imperio . Ei se ne astenne, e ben fece, perchè non avrebbe fatto che accrescere le assurdità. Poichè le qualità di Muciano, secondochè si descrivono dallo Storico, poteano renderlo forte a contrastare ad altri l'imperio, non a conquistarlo per sè medesimo. Senza entrare in morali e politiche discussioni basta riflettere a quanto avvenne ad Ottone. Era di carattere Ottone assai conforme

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