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tamen et innoxium. Se dunque Tacito per descrivere nobilmente senza mancare alla fede istorica la morte del vecchio Plinio, ch' era soltanto argomento di una erudita curiosità, pregò il nipote ad esporgliela esattamente, come da questo attestasi Epist. 16. lib. 6; poteva egualmente chiedergli piena ed imparzial relazione de'riti ed usi cristiani, ove gli avesse ignorati, per non opprimere con menzogue l'onore altrui, che è legge eterna di onestà pubblica, sulla qual fondasi principalmente la veracità della storia. Egli certo avrebbe chiamato anche allora il Cristianesimo malum, come l'appellò Plinio contagium, per la ruina che fortemente operava del Paganesimo; nè tal denominazione gli si potrebbe apporre a colpevole malignità, per il dolore, con cui doveva mirar lo scempio del culto, ch'ei professava. Ciò, che lo rende reo di violata onestà, è di essersi espresso in guisa, che si dovessero a suo giudizio riporre le istituzioni cristiane tra le vergogne e le atrocità, peggiori ancora de' Lupercali, ch'erano sacri in Roma, con quella sdegnosa sua riflessione per urbem etiam, quo cuncta undique atrocia aut pudenda confluunt celebranturque, senza neppure indicarne un rito, una massima, per cui potessero meritar simile imputazione. Ma se ella è somma malignità così parlare del Cristianesimo, o ignorandone la sostanza, o, ciò che sarebbe ancora più iniquo, infingendosi di non conoscerla; che dovrà dirsi di quanto asseri di quelli che il professavano, i cui costumi ei non poteva ingnorare per esserne già piena Roma, ove al cospetto di un Principe e d'un Senato congiurati ad opprimerli non è possibile che vivesser meno innocentemente che in Affrica sotto la timida amministrazioa di un proconsole ? Or questi, che per attestazione di Plinio obbligavansi con giuramento ad astenersi d'ogni vergogna e ribalderia, son nominati da Tacito ribaldi, vituperosi, e degni d'ogni atrocissima pena, ob flagitia invisos, sontes, et novissima exempla meritos. Nè solamente senz'addur cosa crudele o sozza, che si potesse apporre a' Cristiani; ma prendendo occasione appunto da quegli strazj atrocissimi, a'quali andarono sottoposti per la più fiera calunnia, che mai s'ordisse dalla ferocia de' Cesari. Avea Nerone incendiato Roma con tanta strage di case e d' uomini, che pari mai non ne avvenne.Niun dubitava che tale incendio fosse opera della sua scelleraggine; talchè da Subrio Flavio tribuno gli fu solennemente rimproverato: odisse coepi, postquam parrieida matris et uxoris, et auriga, et histrio, et incendiarius

extitisti; cap. 67. di questo libro. E Tacito spezialmente ne fu convinto; perch' egli dice che a spegnere il mormorio, contro lui mosso in Roma per tale infamia, appose il suo delitto a' Cristiani. Nero subdidit reos ha il Testo; ed ognuno sa che subdo suona frode e falsità, principalmente in Tacito, che in cento luoghi l'adopera a denotare falsificazione ed inganno. Quest' infelici soggiacquero per tal calunnia alle più atroci pene, che da' tiranni mai s' ideassero; talchè la morte loro riscosse sin la pietà di un popolo, che aveva ne'suoi crudeli spettacoli perduto quasi ogni senso di umanità. Tacito lo fa riflettere; ma non lasciando di asserir degni di tali e di peggiori supplizj que' miserabili, senza per altro mostrare in essi una sola colpa, onde una pena anche lieve si meritassero. Avreb. be forse voluto blandir con tali espressioni la vanità di Trajano, che si mostrava persecutore del Cristianesimo? Sed incorruplam fidem professis, nec amore quisquam, et sine odio dicendus est, Hist. lib. 1. cap. 1. Quale ne sia però la cagione, certo è che il caso, ond' egli prende ad infamare i Cristiani ed il Cristianesimo, e la maniera, con cui si esprime, bastantemente l'accusano di eccessiva animosità, talchè mal può qui prodursi per quello storico, il quale sine ira et studio protestasi di compilar la storia di Cesari, ch'ei non conobbe nè per favori, nè per ingiurie.

Nota 2. cap. 51.

NE' CHE RESTARE AL SENATO) Ritratto quanto a schiarimento di questo luogo proposi nell'anteriore edizione; e protesto d'esserne debitore al P. Petrucci, che nella Nota latina a piè del Testo dichiara doversi il manere prendere per restare, potestatis scilicet ac dignitatis. Perocchè mosso da tale dichiarazione a riflettere sull' espressioni della comun lezione, maravigliai, più che de' tanti Interpreti, che la gridarono guasta, e come tale con ogni temerità la straziarono, di me stesso, che ne imitai l'esempio, sostituendo con la mia correzione un concetto improprio per non potersi connettere con quanto dicesi e prima e poi dallo Storico, al vero, che la lezion comune presenta con espressioni piene di forza e di proprietà. E vorrei pure dovere al P. Petracci l'intera ammenda, come gli debbo tutto l'impulso a correggermi. Ma varie difficoltà me ne traggono, le quali non per villano proposito di contraddire, ma solo

espongo a schiarimento del Testo. Parmi primieramente, che male orditur esprimasi dal contare, perchè questo, significando per noi narrar cose altrui sconosciute, non si conviene ad Epicari, donna oscura, che ragionava delle vergogne del Principe,non solo ad un suo familiare,e familiare per l'opera del parricidio,e per la carica conseguitane; gelosa per sè medesima,e più pel frequente accostumare col Principe, del qual doveva meglio di lei conoscere e le private e le pubbliche malvagità. Qui vuolsi dunque un tal verbo, che denoti l'esposizione distinta di cose tristi, che imprende a farsi a chi n'è pur consapevole, ma si teme o l'abbia dimenticate, o le dissimuli almeno per interesse, onde infiammarlo a riscuotersi e ad operare;come per non uscir dagli esempi del nostro Storico si usò tra' Britanni pubblicamente Agric. cap. 15, e privatamente tra Sabino e Laziare Ann.lib.4.cap.68.Mi sembra in secondo luogo egualmente non comportabile quell' assicura, perchè sarebbe assai strano che fosse Procolo assicurato da Epicari di ciò, che tutti prima di lei sapevano e a par di lei, cioè che più non rimanesse al Senato ombra d'autorità, e ciò gran tempo innanzi a Nerone. Quindi mi pare egualmente improprio, che a tal Senato si riferisca il provisum, perchè in tanta abbiezione d'autorità come e donde avvisarsi a liberar di tal principe la repubblica? Mi si dirà la congiura. Ma per esservi alcuni senatori intrigati non ne seguiva che dal Senato e di sna autorità si tramasse, come in fatti non si tramò. Perchè se stato ciò fosse, non avrebbe potuto Tacito asserir poi, che tacque Epicari a Procolo i nomi de'congiurati; onde avvenne che vana fu la denunzia fatta da lui di tal trama, perocchè i nomi de'principali gli erano rivelati,tosto che l'accertava che ordivasi dal Senato. Per lo che,non potendomi conformare alla version del P. Petrucci, ho reputato espediente tener la mia strettamente alla maniera del Testo, la quale, preso il manere in qualità di restare, offre spontaneamente il miglior concetto, che si potesse qui presentare da Tacito. Imperocchè qual cosa più naturale, che Epicari per trar Procolo nella congiura si argomentasse ad accenderlo e col ritessere tutte le scelJeraggini, con cui dal Principe contristavasi la Repubblica, e col riflettere, che al Senato, che solo potea far ciò di legittima autorità, non rimanendone punto da libernarnela, erasi a ciò provveduto con grande e forte congiura?

Nota 3. eap. 6o.

ELEZION DI MORTE ) Spiega Svetonio in Ner. cap. 37. cosa qui denoti illud breve mortis arbitrium, col riferir che Nerone solea concedere a' condannati una sola ora, dentro la quale poteano eleggersi quella tal forma di morte, la qual più loro aggradisse. Spirata l'ora fatale, erano pronti i medici a curar subito i condannati; perocchè venas mortis gratia incidere egli appellava curare.

LIBRO SEDICESIMO.

Nota 1. cap. 4.

contro ragione) Innanzi all'Acidalio e al Bossornio tutti leggevano per injuriam. Questi corressero per incuriam, e ottimamente a parer dell' Ernesti, che dice nel per injuriam di non trovare alcun senso, con approvazione di altri, e principalmente dell' Oberlino. Io però credo, che debbasi onninamente leggersi per injuriam; e così leggo. Non già, perchè soddisfacciami la interpetrazione al per injuriam data già dall'Uezio e dal Brotiero adottata, essendo chiaro che la preposizione per, avendo forza di causa, non può il per injuriam significare, come essi vogliono, benchè il popolo si vedesse per tale vergogna pubblica obbrobiosamente adontato ; ma perchè il per incuriam non m'offre un senso degno dell' acutezza di Tacito. Poichè da questa lezione non altro risulterebbe,se non che il popolo si rallegrava forse per la sua niuna cura della ignominia pubblica. Io non contrasto che un tal concetto sia pieno di verità. Ma non ogni verità merita la riflession d' uno storico, spezialmente grave e profondo siccome Tacito. Qual verità più volgare, che in una plebe corrotta da lunghe e atroci tirannidi non può entrar mai niuna cura dell' onor pubblico, della pubblica dignità? La plebe poi, della quale qui parla Tacito histrionum gestus juvare solita, era quella plebaglia, che altrove da lui si chiama plebs sordida, perchè circo et theatris sueta, ed era unita a que' pessimi, che per dedecus Neronis alebantur, Hist. lib. 1 cap. 3., e doveva quindi parere ed esser vieppiù insensibile ad ogni oggetto di pubblico vituperio. Se il ferreo giogo de' Cesari, e di Nerone principalmente, avea per testimonio di Tacito così corrotto generalmente ogni sens

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di civiltà, che i cittadini stessi di segnalato ingegno guardavano la repubblica, come straniera, inscitia Reipublicæ,ut alienæ, Hist.lib.1.cap.1,come poteva render sensibile all'onor pubblico quella plebe, la quale ovunque è portata dalla natura sua a giudicar delle cose secondo l' uso, che vede farsene? La lunga esperienza dunque, unica regola di giudicare pel volgo, dovea sospinger la plebe romana a credere, che nell' arbitrio d'ogni dissolutezza stava la ragion somma del principato, secondochè Sallustio in Jugurt. d'ogni governo tirannico sentenziò, impune quaelibet facere, id est regem esse ; e in conseguenza renderla sorda ad ogni argomento di scorno pubblico.

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Tuttavia se, come asserisce l'Ernesti, non presentasse il per injuriam niun senso, vorrebbe pure accettarsi la correzione;perchè gli è meglio trar dalle frasi un volgar concetto, che niuno. Ma ciò, che indusse l'Ernesti a credere niun senso ofrirsi dal per injuriam, ed a correggerlo quindi col per incuriam, fu di trovarlo e leggerlo, siccome tutti costumano, al publici flagitii congiunto. Se noi dunque faremo tale separazione in manieche il publici flagitii reggasi da laetabantur, e chiudasi tra due virgole il per injuriam, verrà questo allora a significare contro ragione od a torto, come significa spesso per i Latini,e spezialmente in Cicerone Verr. 5. cap. paenult: quid potest esse in calamitate residui, quod non ad miseros aratores per summam injuriam, ignominiamque pervenerit? ed allora tal senso n'emergerà, che un migliore non si potrebbe desiderare da Tacito. Porchè in tal guisa lo Storico profondamente riflette, come stoltissima era quell'allegrezza, con cui il popolo festeggiava le sceniche viltà del principe; perchè da quella degradazione applaudita nascere al popolo mai non poteva,che danno: primieramente con l'incentivo, che dava il pubblico festeggiamento al principe di sempre più disfrenarsi ad ogni vergogna, che percuotendo la maestà dell'imperio ognor più grave e spregevole ne renderebbe al popolo l'esercizio in secondo luogo con l'abitudine, che andava lo stesso popolo con, traendo, di folleggiare con tresche illecite d'ogni genere, la qual creava talinente il bisogno in lui di servire a signorie scapestrate, che il solo annunzio di un costumato e rigido soprastante lo averrebbe messo in tristezza e in ansietà di tumulto, Maesti et rumorum avidi ; così da Tacito Hist. lib. 1. cap. 3. gli animi si descrivono della plebe, appena Roma fu tolta alla tirannia di Nerone. Poteva dunque osservarsi con più ragione

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