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dusse Ottavia il prefetto per guadagnarsi l'armata e (dimentico della dianzi incolpatane sterilità) sconciossi per la vergogna di sue libidini; tutto da lui chiaritosi: e chiude Ottavia nell' Isola Pandateria. Niun'altra esule commosse a maggior pietà gli occhi de' riguardanti. Taluni ancor d'Agrippina si ricordavano, cacciata già da Tiberio; più fresca la memoria di Giulia si presentava, espulsa da Claudio. Ma quelle nel vigor erano dell'età: qualche allegrezza gustarono; e la crudeltà presente alleviavano con la memoria di già migliore fortuna. A questa il primo giorno nuziale fu giorno funebre; entrò in una casa, ove ogni cosa era lutto; il padre, e tosto il fratello le si rapi di veleno; quindi un'ancella prevalse sulla padrona; nè fu sposata Poppea che a rovinare la moglie: calunnia in fine più barbara d'ogni morte.

64. E questa giovane, d'anni venti, fra centurioni e soldati, per il presagio de'mali già fuor di vita, non però ancor nella morte si riposava. Quindi pochi dì scorsi di morir le s'impone; benchè già vedova, e solamente sorella si protestasse,

ed

comuni Germanici e il nome in fine di Agrippina invocasse, viva la quale, moglie infelice, ma senza scempio pur visse. Di ferri aggravasi, e le si squarciano per ogni membro le vene, e perchè il sangue agghiacciato dalla paura sgorgava a stento, col vampo d'un bagno ardente soffocasi. E crudeltà più atroce si aggiugne, che videne il capo mozzo, recato a Roma, Poppea. Per tali cose decretansi doni a'templi. Lo che a tal fine rammemorammo, acciò chiunque da noi o da altri apAnnali Tom. III.

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temporum illorum, nobis vel aliis auctoribus,noscent, praesumptum habeant, quotiens fugas et caedes jussit Princeps, totiens grates Deis actas, quaeque rerum secundarum olim, tum publicae cladis insignia fuisse. Neque tamen silebimus, si quod Senatusconsultum adulatione novum, aut patientia postremum fuit.

65. Eodem anno libertorum potissimos veneno interfecisse creditus est; Doryphorum, quasi adversatum nuptiis Poppaeae; Pallantem, quod immensam pecuniam longa senecta detineret. Romanus secretis criminationibus incusaverat Senecam, ut C. Pisonis socium; sed validius a Seneca eodem crimine perculsus est. Unde Pisoni timor, et orta insidiarum in Neronem magna moles, sed improspera.

prenda di quella età le vicende, sia prevenuto, che quante volte il Principe esilj ed uccisioni ordinò, tante volte si ringraziaron gli Dei: e quelli, ch'erano segni una volta di cose prospere, furon segnali allora di strage pubblica. Non taceremo però s'altro decreto vi fu de' Padri o per adulazione insolito, o per viltà segnalato.

65. L'anno medesimo si credette, che di veleno spegnesse i principali liberti; Doriforo quasi alle nozze di Poppea s'opponesse; Pallante, perchè tardavagli ricchezze immense con la sua lunga vecchiaja. Romano avea con querele occulte investito Seneca, come complice di Cajo Pisone; ma fu più fortemente da Seneca della stessa imputazione aggravato: lo che spaventò Pisone, e mosse contra Nerone congiura orribile, ma infelice.

C. CORNELII

TACITI

ANNALIUM

I.

LIBER DECIMUS QUINTUS

1. Interea Rex Parthorum Vologeses, cognitis Corbulonis rebus, Regemque alienigenam Tigranem Armeniae impositum: simul, fratre Tiridate pulso, spretum Arsacidarum fastigium ire ultum volens; magnitudine rursum Romana, et continui foederis reverentia, diversas ad curas trahebatur: cunctator ingenio; et defectione Hyrcanorum, gentis validae, multisque ex eo bellis inligatus. Atque illum ambiguum novus insuper nuntius contumeliae extimulat: quippe egressus Armenia Tigranes Adiabenos, conterminam nationem, latius ac diutius, quam per latrocinia, vastaverat. Idque primores gentium aegre tolerabant: eo contemptionis descensum, ut ne duce quidem Romano incursarentur, sed temeritate obsidis, tot per annos inter mancipia habiti. Accendebat dolorem eorum Monobazus, quem penes Adiabenum regimen, quod praesidium, aut unde peteret? rogitans. Jam de Armenia concessum: proxima trahi, nisi defendant Parthi: levius

ANNALI

DI

C. CORNELIO TACITO

1.

LIBRO QUINDICESIMO

Fra

rattanto de' Parti il re, Vologese, sapute le imprese di Corbulone, e la signorìa d'Armenia data a Tigrane straniero; e volendo per il fratel Tiridate espulsone vendicare la vilipesa maestà degli Arsacidi; era ad altri pensieri tratto dalla grandezza romana, e dal rispetto della continua alleanza: indugiatore per indole, ed in più guerre per la ribellion degl' Ircani, nazion possente, intrigato. E mentre in questi pensieri ondeggia, l'annunzio d'un nuovo scorno l'infiamma: perocchè, uscito d' Armenia, s'era Tigrane gittato su'confinanti Adiabeni con maggior guasto e più lungo, che per solo ladroneggiare. E ciò crucciava i primati della nazione: in tal disprezzo caduti, che non già un capitano romano, ma la temerità d'un ostaggio, tenuto tant'anni schiavo, li malmenasse. Inferocivane Monobaze, governatore degli Adiabeni, il dolore, quale, chiedendo, e donde implorar soccorso? di già spacciata l'Armenia; perduti ancora i vicini, senza l'ajuto de' Parti: men aspro giogo

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