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è mal noto. Avea saputo molt' anni prima e sprez zato cotal suo fine Agrippina, poichè consultando sopra Nerone gli astrologi, le risposero ch' ei regnerebbe e ucciderebbe la madre, ed essa la uccida disse, ma regni.

10. Ma da Cesare, compiuto alfine il misfatto, se ne comprese l'enormità. Il resto di quella notte ora immobilmente mutolo, più spesso atterrito alzandosi e forsennato, la luce, come di morte apportatrice, aspettava. E per consiglio di Burro prima a speranza lo confortò l'adulazione de' centurioni e tribuni, per man prendendolo, e festeggian→ dolo che scampasse dall' improviso pericolo e dalla fellonia della madre. Gli amici quindi corrono a' templi; e dall' esempio animati i municipj vicini della Campania attestano con vittime e ambascerie l'allegrezza: ei simulando il contrario, mesto, quasi sdegnoso di vivere; l'estinta madre piagneva. Perchè però non si cambiano così gli aspetti de' luoghi, come i sembianti degli uomini, e di quel mare e di quelle rive ferocemente la vista lo travagliava (e v'era pur chi credette udir da' vicini colli fragore di trombe ed ululi dalla materna tomba) a Napoli si ritrasse, e scrisse in tal sentenza al Senato,

11. Che fu sorpreso con un pugnale Agerino, un de liberti intimi di Agrippina, per ammazzarlo ; e ch'ella aveane pagato il fio con quella furia medesima, che la sospinse al misfatto. Antiche accuse aggiungeva: ch'ella bramasse starsi

tes, idemque dedecus Senatus et Populi speravisset: ac, posteaquam frustra optata sint, infensa militibus Patribusque et plebi, dissuasisset donativum et congiarium, periculaque viris inlustribus instruxisset. Quanto suo labore perpetratum, ne inrumperet curiam, ne gentibus externis responsa daret? Temporum quoque Claudianorum obliqua insectatione, cuncta ejus dominationis flagitia in matrem transtulit, publica fortuna extinctam referens. Namque et naufragium narrabat: quod fortuitum fuisse, quis adeo hebes inveniretur, ut crederet? aut a muliere naufraga missum cum telo unum, qui cohortes, et classes Imperatoris perfringeret? Ergo non jam Nero, cujus immanitas omnium questus anteibat, sed adverso rumore Seneca erat, quod oratione tali confessionem scripsisset,

12. Miro tamen certamine procerum decernuntur supplicationes apud omnia pulvinaria; utque Quinquatrus, quibus apertae essent insidiae, ludis annuis celebrarentur: aureum Minervae simulacrum in curia, et juxta Principis imago statueretur: dies natalis Agrippinae inter nefastos esset. Thrasea Paetus, silentio vel brevi adsensu priores adulationes transmittere solitus, exiit tum Senatu; ac sibi caussam periculi fecit, ceteris libertatis initium non praebuit. Prodigia quoque crebra et irrita intercessere. Anguem enixa mulier; et alia in concubitu mariti fulmine exanimata: jam sol repente obscuratus, et ta

in imperio con lui, e i pretoriani giurassero a volontà d'una donna, e dal Senato e dal popolo lo stesso obbrobrio. E poichè vane riuscirono le sue brame, adirata con i soldati e i Padri e la plebe, dissuadesse il donativo e il congiario, e macchinasse agli uomini più segnalati rovina. Quanta fatica non gli costò d'impedirle che in Curia non penetrasse, non rispondesse alle nazioni straniere ? Obliquamente mordendo ancora la signoria di Claudio, tutti gli obbrobrj ne scaricò sulla madre, morta asserendola per pubblica felicità. Poichè narrava ancora il naufragio, il quale chi tanto stolto che reputasse fortuito? o che da naufraga donna fosse spedito un solo con un pugnale a sbaragliar le guardie e armate del Principe. Dunque non già Nerone, la cui brutalità ogni doglianza avanzava, ma laceravasi Seneca, che il parricidio in tal lettera confessasse.

12. Pur con maravigliosa gara de' grandi decretansi preci pubbliche in ogni tempio; che le Quinquatrie, in cui le insidie scoprironsi, con giuochi annui si celebrassero; che nella Curia

s' ergesse una statua d'oro a Minerva, e a lato ad essa quella del Principe; che il natal di d'Agrippina tra' giorni infausti s'annoverasse. Trasea Peto, uso a passare in silenzio o con breve assenso le adulazioni anteriori, allora uscì di Senato: ed a sè procacciò rovina, nè agli altri offerse principio di libertà. Prodigj ancora frequenti e vani intervennero: donna sgravatasi d' donna sgravatasi d'un serpente; un'altra spenta ne' conjugali amplessi da un fulmine:

ctae de caelo quatuordecim urbis regiones. Quae adeo sine cura deum eveniebant ut multos post annos Nero imperium et scelera continuaverit. Ceterum, quo gravaret invidiam matris, eaque demota, auctam lenitatem suam testificaretur, foeminas inlustres, Juniam et Calpurniam, praefectura functos Valerium Capitonem et Licinium Gabolum, sedibus patriis reddidit, ab Agrippina olim pulsos. Etiam Lolliae Paullinae cineres reportari, sepulcrumque exstrui permisit: quosque ipse nuper relegaverat, Iturium et Calvisium poena exsolvit. Nam Silana fato functa erat, longinquo ab exilio Tarentum regressa, labante jam Agrippina, cujus inimicitiis conciderat, vel tum mitigata.

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13. Cunctanti in oppidis Campaniae, quonam modo urbem ingrederetur: an obsequium Senatus, an studia plebis reperiret, anxio, contra deterrimus quisque, quorum non alia regia foecundior extitit, invisum Agrippinae nomen, et morte ejus accensum populi favorem, disserunt: iret intrepidus, et venerationem sui coram experiretur: simul progredi exposcunt. Et promptiora, quam promiserant, inveniunt: obvias tribus: festo cultu Senatum: conjugum ac liberorum agmina, per sexum et aetatem disposita: extructos, qua incederet, spectaculorum gradus, quo modo triumphi visuntur. Hinc superbus, ac publici servitii victor, Capitolium adiit, grates exolvit ; seque in omnes libidines effudit,quas male coercitas qualiscum que matris reverentia tardaverat.

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repentemente ottenebratosi il sofe; ed ogni region di Roma percossa dalle saette. Le quali cose tanto avvenivano senza affezion degli Dei, che per più anni continuò Nerone l'imperio e le scelleraggini. In tanto, per gravar d'odio la madre, ed attestare, lei tolta, accresciutasi la sua dolcezza, restituì alla patria le illustri donne Giunia e Calpurnia, i già pretori Valerio Capitone e Licinio Gabolo, cacciati già da Agrippina. Permise ancora si riportasser le ceneri di Lollia Paolina, e le si ergesse un sepolcro: e liberò dalla pena Iturio e Calvisio, ch' egli medesimo avea testè rilegati . Poich'era morta Silana in Taranto dal suo lontano esilio tornatavi, già vacillando, o allor placata, Agrippina per lo cui odio ella cadde.

13. Arrestandosi per le terre della Campania, pensoso come entrerebbe in Roma; se vi ritroverebbe la devozion del Senato, ed il favor della plebe; i più malvagi, di cui non ebbe altra corte maggior dovizia,lo rassicurano,abbominarsi Agrippina; racceso per la sua morte l'amor del popolo: andasse intrepido, e da sè stesso osservasse in quanta venerazione egli fosse s'offrono insieme a precederlo. E trovano più alacrità, che promisero: le tribù mosse a scontrarlo: in lieta veste il Senato: schiere di genitori e figliuoli, per sesso ed età disposte, costratti, ovunqu'e' passasse, palchi, quali usano a contemplare i trionfi. Quindi superbo, e della pubblica servitù vincitore, recasi al Campidoglio a ringraziare gli Dei, e si abbandona a tutte quelle libidini, cui mal frenate contenne la sua qualunque riverenza alla madre.

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