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72. Compiute siffatte cose, Nerone aduna a parlamento i soldati, e loro distribuì due mila sesterzj a capo, aggiugnendo in dono il frumento, che prima al prezzo pagavano dell'annona. Poi, quasi fosse per riferire guerriere imprese, chiama il Senato, e dà gli onori trionfali a Petronio Turpiliano Consolare, a Coccejo Nerva, Pretore eletto, a Tigellino, prefetto de' Pretoriani; così Tigellino e Nerva esaltando, che, oltre alle trionfali statue nel foro, ne collocò nel palazzo ancora le immagini. Diede a Ninfidio i consolari ornamenti: del quale, perchè or mi s'offre la prima volta, alcuna cosa dirò; perchè pur ei sarà parte delle Romane sciagure. Nato egli dunque d'una liberta, che l'avvenente corpo fra'servi e liberti de' Principi prostituì, figlio vantavasi di Cajo Cesare, perch'era a caso di grandi sembianze e fiere; o Cajo Cesare, vago pur egli di meretrici, con la sua madre ancora si trastullò.

73. Ma Nerone, adunato il Senato ed aringato a' Padri, aggiunse un editto al popolo, con le denunzie e le confessioni già registrate de' rei. Perch' era molto dal popolo lacerato, come innocenti uomini per invidia o per paura spegnesse. Niuno però di quelli, che di chiarire il vero agognavano, neppure allor dubitò della insorta e cresciuta e palesata congiura, e que' che in Roma, spento Nerone, tornarono, la confessano. Ma nel Senato, più che ciascuno era afflitto, sciogliendosi in adulare, Salieno Clemente rabbuffò Giunio Gallione, tremante per la morte di Seneca suo fratello, e per la salvezza sua supplicante, nemico e parricida

Clemens, hostem et parricidam vocans: donec consensu Patrum deterritus est, ne publicis malis abuti ad occasionem privati odii videretur, neu composita aut oblitterata mansuetudine Principis novam ad saevitiam retraheret.

74. Tum dona et grates Deis decernuntur, propriusque honos Soli, cui est vetus aedes apud Circum, in quo facinus parabatur, qui occulta conjurationis Numine retexisset: utque Circensium Cerealium ludicrum pluribus equorum cursibus celebraretur: mensisque Aprilis Neronis cognomentum acciperet: templum Saluti extrueretur eo loci, ex quo Scevinus ferrum prompserat. Ipse eum pugionem apud Capitolium sacravit, inscripsitque Jovi Vindici. In praesens haud animadversum: post arma Julii Vindicis, ad auspicium et praesagium futurae ultionis trahebatur. Reperio in commentariis Senatus, Cerialem Anicium, Consulem designatum, pro sententia dixisse, ut templum divo Neroni quam maturrime publica pecunia poneretur. Quod quidem ille decernebat tamquam mortale fastigium egresso, et venerationem hominum merito, quorundam dolo ad omina sui exitus vertebatur. Nam Deum honor Principi non ante habetur, quam agere inter homines desierit. »

appellandolo sinochè i Padri concordemente lo sbigottirono che d'abusar non mostrasse de mali pubblici per vendicare private ingiurie, nè a nuove crudeltà risvegliasse l'ira già sazia del Principe.

74. Poi si decretano offerte, e ringraziamenti agli Dei, e speziale onoranza al Sole ( il quale ha tempio antico nel Circo, ove la strage s'apparecchiava) perchè propizio svelasse la tenebrosa congiura, e che i Cereali giuochi Circensi con più corse di cavalli si celebrassero : e il mese di Aprile Nerone si nominasse: e un tempio alla Salute si costruisse in quel luogo, donde Scevino trasse il pugnale. Egli consagrò questo pugnale nel Campidoglio, con la iscrizione a Giove Vendicatore. Per allora non si avvertì: dopo la guerra di Giulio Vindice ad augurio s'interpretava e a presagio della futura vendetta. Trovo nelle memorie del Senato, aver Ceriale Anicio, Consolo eletto, proposto, che a pubbliche spese un tempio a Nerone Dio con ogni celerità s'inalzasse. La qual cosa certo, che decretava costui, come Nerone, già superata ogni mortale grandezza, le adorazioni degli uomini si meritasse, dalla malizia d'alcuni a presagio della sua fine volgevasi. Perocchè al Principe l'onor degli Dei non prestasi prima che cessi di conversare tra gli uomini.

C. CORNELII

TACITI

ANNALIUM

LIBER DECIMUS SEXTUS

1. Illusit dehinc Neroni fortuna per vanitatem ipsius et promissa Cesellii Bassi; qui origine Poenus, mente turbida, nocturnae quietis imaginem ad ad spem haud dubiam retraxit: vectusque Romam, Principis aditum emercatus, expromit, repertum in agro suo specum altitudine immensa, quo magna vis auri contineretur, non in formam pecuniae, sed rudi et antiquo pondere. Lateres quippe praegraves jacere, adstantibus parte alia columnis: quae per tantum aevi occulta augendis praesentibus bonis. Ceterum, ut conjectura demonstrat, Didonem Foenissam, Tyro profugam, condita Carthagine, illas opes abdidisse, ne novus Populus nimia pecunia lasciviret; aut reges Numidarum, et alias infensi, cupidine auri ad bellum accenderen

tur.

2. Igitur Nero, non auctoris, non ipsius negotii fide satis spectata, nec missis, per quos nosceret, an vera adferrentur, auget ultro ru

ANNALI

DI

C. CORNELIO TACITO

LIBRO SEDICESIMO

1. La fortuna poi prese a giuoco la vanità di

Nerone con le promesse d'un forsennato Cartaginese, di nome Cesellio Basso, che sopra un sogno fondò non vana speranza. Trattosi a Roma, e comprato l'accesso al Principe, gli denunzia, una spelonca trovatasi in un suo campo, d'immensa profondità, dove gran copia d'oro celavasi, non monetato, ma in massa rozza ed antica: poichè ve n'erano quadrelli grossi, e ne sorgevano da un'altra parte colonne: le quali cose per tanta età si celarono ad aumento della presente fortuna. Certo la Fenicia Didone, come argomentasi, fuggitiva da Tiro, fabbricata Cartagine, sotterrò tali ricchezze, perchè un Popol nuovo per eccessivo danajo non invanisse, o i re Numidi, d'altronde ancora nemici, l'avidità dell'oro a guerre non infiammasse.

2. Nerone dunque, non dell'autore, non dello stesso affare contezza presa, nè là spedito a chiarirne il vero, ne accresce il grido egli stesso e man

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