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Ei fu che avendo i cari amici avante,
Del suo corso vital nel punto estremo,
Disse con voce debole e tremante:

Amici, il mio morire io già non temo;
Perocchè quanto accorcio il viver mio,
Tanto allo spirto di prigione io scemo.
E questa mortal vita non desio,
Acciocchè l'alma del suo fango pura
Ritorni lieta allo splendor natio;

Che in questa spoglia che il goder ci fura,
Colui la propria, vita ha più disteso,
Che non dai giorni il viver suo misura,
Ma da quel che conobbe ed ha

compreso.

LA STRADA

DELLA GLORIA

DELLA GLORIA

SOGNO

GIÀ l'ombrosa del giorno atra nemica Di silenzio copriva e di timore L'immenso volto alla gran madre antica. Febo agli oggetti il solito colore Più non prestava ed all' aratro appresso Riposava lo stanco agricoltore.

Moveano i sogni il vol tacito e spesso, Destando de' mortali entro il pensiere L'immaginar dall'alta quiete oppresso.

Sol io veglio fra cure aspre e severe, Com' egro suol che trae l'ore inquïete, Nè discerne ei medesmo il suo volere. Alfin con l'ali placide e secrete Sen venne il Sonno, e le mie luci accese Dello squallido asperse amor di Lete. Tosto l'occulto gelo al cor discese, E quel poter per cui si vede e sente, Dall' uffizio del dì l'alma sospese. Tacquero intorno all'agitata mente Le acerbe cure, e inaspettato oggetto Al sopito pensier si fe presente.

Parmi in un verde prato esser ristretto, Cui difendon le piante in largo giro Dall'ingiuria del Sol l'erboso letto.

Picciol ruscel con torto piè rimiro, Che desta nel cammin gigli e vïole, Pingendo il margo d'oriental zaffiro; Chiaro così che, se furtivo suole I rai Febo invïar su l'onda molle, Tornan dal fondo illesi i rai del Sole. Dall' un de' lati al pian sovrasta un colle Tutto scosceso e ruinoso al basso, Ameno poi là dove il giogo estolle. Di lucido piropo in cima al sasso Sfavilla un tempio che a mirarlo intento Lo sguardo ne divien debole e lasso. Veggonsi in varie parti a cento a cento Quei che per l'alta disastrosa strada

Salir l'eccelso colle hanno talento.

La difficile impresa altri non bada, Ma tratto dal desio si inoltra e sale, Onde avvien poi che vergognoso cada:

Altri con forza al desiderio uguale Supera l'erta; e l'ampia turba imbelle Gracchia e si rode di livor mortale.

In me che l'alme fortunate e belle Tant'alte miro, la via scabra e strana Desio s'accende a sormontar con quelle. Qual lioncin che vede dalla tana Pascere il fiero padre il suo furore Nel fianco aperto d'empia tigre Ircana, Anch'ei dimostra il generoso core, Esce ruggendo, e va lo sparso sangue Su le fauci a lambir del genitore;

Tal io, sebbene a tanta impresa langue L'infermo passo, per mirar non resto Chi cada, o nel cader rimanga esangue.

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