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mostra nel tenere vòlto lo viso in quella : 1 atto sforzato è, quando contro a voglia si va, che si mostra in non guardare nella parte dove si va ; e allora riguarda lo dono a quella parte, quando si dirizza allo bisogno dello ricevitore. E pcrocchè dirizzarsi ad esso non si può se non sia utile, conviene, acciocchè sia con atto libero, la virtù essere libera, e lo dono dirizzarsi alla parte, ov' elli va col ricevitore, e consequente conviene essere lo dono all' 5 utilità del ricevitore, acciocchè quivi sia pronta liberalità. La terza cosa, nella quale si può notare la pronta liberalità, si è dare non domandato perciocchè dare 'l domandato è da una parte non virtù, ma mercatanzia: perocchè quello ricevitore compera, tuttochè 'l datore non venda; perchè dice Seneca: « che nulla cosa più cara si compera, che quella dove e' prieghi si spendono.» Onde, acciocchè nel dono sia pronta liberalità, e che essa si possa in esso notare, allora si conviene essere netto d'ogni atto di mercatanzia; e così conviene essere lo dono

1 Bella è qui la lezione del cod. Gadd. 3: tenere volto lo viso in quel lato: sforzato è quando contro a voglia si va, che si mostra nel non guardare diritto lietamente inverso quella parte. Tutte le stampe hanno quello atto. E. M.

2 Tutti i testi a penna ed a stampa hanno si guarda, lezione che ci sembra corrotta. E. M.

3 Le stampe tutte, compresa quella del Biscioni, i codici Marciani ed alcuni Gaddiani hanno allo bisogno dello ricevere; lezione rigettata dalla sana critica, alla quale è giuocoforza accettare quella del Gadd. 135 primo: allo bisogno del ricevitore. Il Gadd. 3 legge del recettore. E. M. E del ricevitore legge il codice Riccardiano. F.

La copulativa e ed il verbo diriz. zarsi mancano ne' codici e nelle stampe; ma sono dimandati dal contesto del discorso, perch esso abbia il suo pieno. E. M. La lezione antica, che indubbiamente appar difettosa, era questa conviene, acciocchè sia con allo libero, la virtù essere libera, lo dono alla parte ov' elli va col ricevitore. Ma il Pederzini, cui non piacque l'intro

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missione della copulativa e del verbo, propose di leggere: conviene, acciocchè sia con atto libero la virtù, essere libero lo dono alla parte ov' elli va col ricevitore. Il Witte poi vorrebbe leggere: conviene, acciocchè sia con atto libero la virtù nel dono, drizzarsi alla parte ov' elli va al ricevitore. F.

5 Invece di all' gli edit. mil., conformandosi al cod. Gadd. 135 primo, lessero ad. Ma all' portano alcuni codici, e quello posseduto dal Witte. L'antica erronea lezione era l'. Il codice Riccardiano legge peraltro; conviene essere nel dono l' utilità ec. F.

6 Perciocchè dare'l domandato è lezione del codice Witte e del Riccardiano. Gli edit. mil. leggevano: acciocchè 'l domandato, ov' era d'uopo sottintendere il verbo dare, e attribuire ad acciocchè il significato di perciocchè. F.

7 Nulla res carius constat, quam quæ præcibus empta est. Sen., De Benef., lib. II, cap. 1. Vedi il secondo capitolo di quell' opera, a cui Dante attigne tutta la dottrina qui esposta sulla liberalità. E. M.

8 Le parole e così, che mancano

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non domandato. Per che si caro costa quello che si priega non intendo qui ragionare, perchè sufficientemente si ragionerà nell' ultimo trattato di questo libro.2

CAPITOLO IX.

Da tutte le tre soprannotate condizioni, che convengono concorrere acciocchè sia nel beneficio la pronta liberalità, era 'l comento latino privato, e lo volgare è con quelle, siccome puossi manifestamente cosi mostrare. Non avrebbe il latino servito a molti ;* chè se noi riducemo a memoria quello che di sopra è ragionato, li letterati fuori di lingua italica non avrebbono potuto avere questo servigio; e quelli di questa lingua,

nella volgata, stanno nel cod. Riccardiano. F.

1 Per che, cioè per che cosa, per qual cagione. Gli edit. mil. leggono non troppo bene Perchè. F.

2 Nell' ultimo trattato di questo libro, cioè nel quindicesimo, ove Dante volea comentare la sua canzone Doglia mi reca. Vedi le illustrazioni al Canzoniere, pag. 203. F.

3 In tutti i testi havvi lacuna della parola privato; il che rovescia nel suo contrario il pensiero dell'autore. Nel Saggio, pag. 54, ci eravamo serviti del vocabolo lontano; ora preferiamo privato, che ne pare più analogo al solito modo con cui Dante s'esprime, e che torna lo stesso. E. M.

Non la sola voce privato aggiun sero gli edit. mil., ina altresì la negativa non, e lessero: da tutte le tre sopranotate condizioni... era'l comento latino privato, e non lo volgare; e con quelle, siccome si può manifestamente così contare, non avrebbe il latino così servito a molli. La lezione da me adottata è quella proposta dal Pederzini, dal quale vien convalidata con buone ragioni. E che questa sia infatti la vera lezione, e che nell' inciso manchi la voce privato o lontano o separato, come bene avvertirono gli edit. mil., si ha dal cod. R., il quale

legge.... era 'l comento latino separato, e'l volgare è con quelle. E puossi manifestamente così mostrare. F. L'effetto dell' emendazione de' signori E. M., s' io non piglio errore, si stringe unicamente alla parte che per essa è toccata. Ma non posero mente gli nomini eccellentissimi all'inimico che rimane a guastare tutto questo capo. E che sia così, quali sono, io domaudo, le tre sopranotate condizioni? Sono dare a molti, dare utili cose, dare senza essere domandato (vedi il principio del cap. antecedente). E il pronome quelle non rappresenta appunto esse condizioni ? Certo che sì. Dunque, o sarà tuttavia viziata la lettera, o Dante avrà fatto tutto un discorso contradittorio a questo modo: Il latino con dare a molti, non avrebbe così servito a molti; con dare utili cose non sarebbe stato datore d' utile dono; con dare non domandato, non avrebbe dato a quella condizione. Per tanto io crederei che fosse da tenere per buona l'aggiunta dell' addiettivo privato; rigettare il non; togliere il punto e virgola dopo volgare; dare il segno del verbo all'e seguente; e porre il punto fermo dopo contare, perciocchè indi innanzi vengono le dimostrazioni particolari. P:

5 Cioè i letterati o tedeschi o in

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se noi volemo bene vedere chi sono, troveremo che di mille l'uno ragionevolmente ne1 sarebbe stato servito; perocchè non l'avrebbono ricevuto, tanto sono pronti ad avarizia che da ogni nobiltà d'animo li rimuove, la quale massimamente desidera questo cibo. E a vituperio di loro dico, che non si deono chiamar litterati; perocchè non acquistano la lettera per lo suo uso, ma in quanto per quella guadagnano danari o dignità: siccome non si dee chiamare citarista chi tiene la citara in casa per prestarla per prezzo, e non per usarla per sonare. Tornando adunque al principale proposito dico, che manifestamente si può vedere come lo latino avrebbe a pochi dato lo suo beneficio, ma il volgare servirà veramente a molti. Chè la bontà dell'animo, la quale questo servigio attende, è in coloro che per malvagia disusanza del mondo hanno lasciata la letteratura a coloro che l'hanno fatta di donna meretrice : e questi nobili sono principi, baroni e cavalieri, e molta altra nobile gente, non solamente maschi, ma femmine, che sono molti e molte in questa lingua, volgari e non litterati. Ancora non sarebbe stato datore lo latino d'utile dono, che sarà lo volgare: perocchè nulla cosa è utile se non in quanto è usata: nè la sua bontà in potenza è essere perfettamente; siccome l' oro, le margherite

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glesi non avrebbero potuto servirsi del comento latino, non intendendo le canzoni volgari per le quali il comento sarebbe fatto. E. M.

1 Ne legge bene il codice Riccardiano, mentre gli altri leggono erroDeamente non. F.

2 Desidera leggono le stampe antiche e il cod. Riccardiano. Gli E. M. desiderava. F.

3 Citara, le edizioni antiche; cetera, gli edit. mil. F.

La quale può essere in quarto caso, e s'intende, la quale bontà è voluta, siccome condizione necessaria, da questo servigio. Può essere anco in primo caso, e allora si spiega, la quale naturalmente parlando attende questo servigio, e perciò l'accetterà volentieri, come le cose desiderate. P.

5 Così i codici Gadd. 3 e 134, ed

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il Vat. Urb. Gli altri codici e le stampe hanno accende, lezione la quale ci sembra doversi posporre a quella da noi adottata, perocchè Dante ha parlato di sopra di coloro che non avrebbero ricevuto questo servigio per avarizia, ed ora viene a dire di quelli che per bontà d'animo l' altendono. E. M.

6 Cioè, che non intendono il latino. E. M.- Che essere letteralo o saper lettera valesse intendere il latino, si prova evidentemente pel luogo se guente del Passavanti, pag. 211:

siccome si dimostra in questo li bro fatto in latino per le persone lelterale, ed ancora più innanzi se ne dirà. Qui basti quello che si dice per ammaestramento di quelle persone che non sanno lettera. P.

7 Nè l'essere la sua bontà in potenza è essere perfettamente, perchè

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e gli altri tesori che sono sotterrati: perocchè 1 que' che sono a mano dell' avaro, sono in più basso luogo, che non è la terra là ove il tesoro è nascoso. Il dono veramente di questo comento è la sentenza delle canzoni alle quali 2 fatto è, la quale 3 massimamente intende inducere gli uomini a scienza e a virtù, siccome si vedrà per lo processo del loro trattato. Questa sentenzia non possono avere in uso se non quelli nelli quali vera nobiltà è seminata, per lo modo che si dirà nel quarto trattato; e questi sono quasi tutti volgari, siccome sono quelli nobili che di sopra in questo capitolo sono nominati: e non ha contraddizione, perchè alcuno litterato sia di quelli chè, siccome dice il mio maestro Aristotile nel primo dell' Etica <«< una rondine non fa primavera. » È adunque manifesto che 'l volgare darà cosa utile, e lo latino non l'avrebbe data. Ancora darà il volgare dono non domandato, che non l'avrebbe dato il latino; perocchè darà sè medesimo per comento, che mai non fu

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l'essere solo in potenza non è perfetto essere, essendo essere perfetto l'essere in potenza e in atto. L'antica lezione, da tutti riconosciuta er. ronea, era la seguente: nè la sua bontà in potenza che non è essere perfettamente. Gli edit. mil. crederono dover leggere: nè la sua bontà in potenza, ch'è senza uso, non è perfettamente; poi proposero: nè la sua bontà in potenza, ch'è sanza uso, non ha essere perfettamente. Ed il Vaccolini più infelicemente : se non in quanto è usata nella sua bontà, che in potenza non è essere perfettamente. Ma perchè la proposizione renda un concetto chiaro e coerente al seguito del discorso, non v' ha bisogno di contorcerne e alterarne le parole e le frasi, ma basta, a mio giudizio, togliere dalla lezione antica soltanto il che. E dico soltante il che, perchè il non, ch' io ho altresì tolto, potrebbe lasciarsi siccome pleonasmo atto a dar maggior forza alla negativa. F.

1 Esce terribilmente contro gli avari, e dice che i tesori in mano di loro sono in più basso luogo, che non quelli sotto terra. E con tal

dire figurato vuol significare e la profonda viltà d'essi avari, e i lunghi e penosi lavorii che costa a cavarne qualche coserella di lag. giù. P.

2 Cioè in servigio delle quali. P.

3 Lo quale, leggono erroneamente tutte le stampe e tutti i codici, tranne il secondo Marciano, il quale porta la lezione da noi adottata. E. M.

Tutti gli altri leggono: si vedrà per lo pelago del loro trattato, e fa maraviglia come i diligentissimi edit. mil. non s'accorgessero che la voce pelago era errata. Processo sta nel cod. Riccardiano. F.

5 L'antica lezione era: non possono avere in uso quelli nelli quali vera nobiltà è seminata; e gli edit. mil. vi aggiunsero un non, e lessero non è seminata, dicendo, che senza di esso il senso cade stranamente nel rovescio dell'intenzione di Dante. Lo che è vero. Il Pederzini credė, che non un non avanti è seminata, ma mancasse un che avanti a quelli. Ma poichè il cod. R. legge non possono avere in uso se non quelli ec., ogni altra disquisizione tornerebbe inutile. F.

domandato da persona ;1 e questo non si può dire dello latino, che per comento e per chiose a molte scritture è già stato domandato, siccome in loro principii si può vedere apertamente in molti. E così è manifesto che pronta liberalità mi mosse al volgare anzi che allo latino.

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CAPITOLO X.

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Grande vuole essere la scusa, quando così nobile convito per le sue vivande, a così onorevole per li suoi convitati, si pone pane di biado, e non di formento e vuole essere evidente ragione che partire faccia l' uomo da quello che per gli altri è stato servato lungamente, siccome di comentare con latino. E però vuole essere manifesta la ragione: chè delle nuove cose il fine non è certo, perciocchè l' esperienza non è mai avuta, onde le cose usate e servate sono e nel processo e nel fine commisurate. Però si mosse la ragione a comandare che l' uomo avesse diligente riguardo a entrare nel nuovo cammino, dicendo: « che nello statuire le nuove cose, evidente ragione dee essere quella che partire ne faccia da quello che lungamente è usato. » Non si maravigli dunque alcuno se lunga è la digressione della mia scusa ; ma siccome necessaria, la sua lunghezza paziente sostenga; la quale proseguendo,10 dico: che poich' è manifesto come per

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1 Tocca dell'uso universale in allora di servirsi ne' comenti della lingua latina esclusivamente. P.

2 Che sono d'altissime materie di amore e di virtù. P.

3 Che sono tutti quelli, i quali si sentono fame del cibo degli angeli e in essa fame sono rimasi, perciocchè convenevolmente impediti nelle cure familiari e civili; ma nessuno mal disposto degli organi, nessun settatore di vizi, nessuno vinto da pigrizia. Vedi il cap. 1. P.

Il cod. Barb. ed i Gadd. 3 e 134 leggono s'appone. E. M.

3 Cioè, per lungo tempo. F.

6 Perciocchè legge il R.; acciocchè

lessero gli edit. mil., dicendo che se fosse loro stato lecito alcun cangiamento, avrebbero letto perciocchè l'esperienza non le aiuta. Pure la lez. del cod. R. è chiara abbastanza, poichè dà questo senso: Perciocchè non si è mai avuta di loro l'esperienza. F. 7 Per ragione intendi il diritto civile. E. M.

8 Così i codici Marciani, il Vat. Urb. e Gadd. 134 e 135 secondo, con tutte le antiche edizioni. L'edizione Biscioni: siccom'è. E. M.

9 La quale digressione. P.

10 Cosi il cod. Gadd. 134 ed il Vat. Urb. Gli altri testi MSS. e stampati leggono perseguendo. E. M.

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