Page images
PDF
EPUB

CAPITOLO XII.

4

2

Come detto è, la imperfezione delle ricchezze non solamente nel loro indiscreto avvenimento si può comprendere, ma eziandio nel pericoloso loro accrescimento; e però 2 in ciò che più si può vedere di loro difetto, solo di questo fa menzione il testo, dicendo quelle, quantunque collette, non solamente non quietare, ma dare più sete e rendere altrui più difettivo e insufficiente. E qui si vuole sapere, che le cose difettive possono avere i loro difetti per modo, che nella prima faccia non paiono, ma sotto pretesto di perfezione la imperfezione si nasconde, e possono avere quelli sì del tutto discoperti, che apertamente nella prima faccia si conosce la imperfezione. E quelle cose che prima non mostrano i loro difetti sono più pericolose; perocchè di loro molte fiate prendere guardia non si può, siccome vedemo nel traditore, che nella faccia dinanzi si mostra amico, sicchè fa di sè fede avere, e sotto pretesto d'amistà chiude il difetto della nimistà. E per questo modo le ricchezze pericolosamente nel loro accrescimento sono imperfette, chè sommettendo ciò che promettono, apportano il contrario. Promettono le false tradi

5

6

1 La comune lezione è: nel loro avvenimento; ma il cod. Ricc. legge: nel loro indiscreto avvenimento; e cosi ho stampato, perchè anco la clausola che segue relativa all' accrescimento porta seco un aggiuntivo, che qui come là determina meglio l'idea. F.

2 Ordina e intendi: E perocchè in ciò, vale a dire nell' accrescimento, più di loro difetto si può vedere che non nell' avvenimento e nella possessione, solo di questo, cioè dell' accrescimento fa menzione ec. P. Witte vorrebbe leggere: perocchè. Ma però, come abbiamo veduto altrove, vale talvolta, come qui, perocche. F.

-

3 Pretesto legge, conforme al nobile modo di favellare, il cod. Gadd.

135 primo. Gli altri codici e le stampe hanno protesto, che come vocabolo anfibologico e idiotismo volgare abbiamo rifiutato E. M.

41 testi leggono con sintassi del tutto turbata: e possono avere quelli, sicchè del tutto sono discoperti, sicchè apertamente ec. E. M.

5 cod. Vat. Urb. e Gadd. 134: sono molto pericolose. E. M.

6 Qui pure il cod. Gadd. 135 primo, d'accordo questa volta coll' altro Gadd. 134 e col Vat. Urb. legge, come da noi si è stampato, pretesto: laddove tutte le edizioni hanno protesto. E. M.

7 « Immagini di ben seguendo false, Che nulla promission rendono intera. » Purg., XXX, 131. Quel sommettendo vuoisi intendere per presentando,

[ocr errors]

5

3

trici sempre, in certo numero adunate, rendere il raunatore pieno d'ogni appagamento; e con questa promessione conlucono l' umana volontà in1 vizio d'avarizia. E per questo le chiama Boezio, in quello di Consolazione, pericolose, dicendo: «Oimè! chi fu quel primo che li pesi dell' oro coperto,2 » e le pietre che si voleano ascondere, preziosi pericoli ca» vò? » Promettono le false traditrici, se ben si guarda, di tôrre ogni sete e ogni mancanza, e apportar saziamento e bastanza; e questo fanno nel principio a ciascuno uomo, questa promissione in certa quantità di loro accrescimento affermando; e poichè quivi sono adunate, in loco di saziamento e di refrigerio, dánno e recano sete di casso febricante intollerabile e in loco di bastanza, recano nuovo termine cioè maggior quantità a desiderio; 7 e con questo paura e sollecitudine grande sopra l'acquisto. Sicchè veramente non quetano, ma più dánno cura, la qual prima sanza loro nou s' avea. E però dice Tullio in quello di Paradosso, abbomi

mettendo sott'occhio, e simili. E. M.

Se noi diamo il valore che dicono t signori edit. mil. al verbo sommeltere, che ci vorremo poi fare in questo membro dell' altro verbo promettere, il quale naturalmente significa un'azione appunto somigliantissima al presentare, metter sott' occhio? Spieghisi. dunque sono le ricchezze imperfette pericolosamente, perciocchè ciò che promettono sommettendo, vale a dire, essendo l'uomo sottomesso e vinto da ciò che promettono, esse poi apportano il contrario. P. IE Witte propone di leggere omettendo, perchè l'interpretazione del Pederzini non gli sodisfa. E per dir vero non sodisfa nè anco a me, ma non mi piace peraltro la lezione dal Witte proposta. Onde preferisco l'interpretazione degli edit. mil. F.

1 cod. Vat. Urb. e Gadd. 134: a rizio. E. M.

2 Coperto sotto i monti delle miniee. P.

3 E ogni manchezza, ed apportare ogni saziamento, le pr. ediz. 'E. M.

Bastanza per sufficienza (e Dante

8

6

l'usa nuovamente poche righe appresso) manca nel vocabolario. F.

5 Intendi: e realmente apportano saziamento e bastanza nel principio a ciascun uomo, affermando, cioè quasi assicurando vie meglio la promissione coll attenere, tanto che sieno cresciute fino a certo segno; e poichè ec. P.

6 Sete di caso, leggono tutte le stampe e tutti i codici, fuorchè il Barberino, il quale ci ha somministrata la vera lezione. Nel Saggio, pag. 19, noi avevamo proposte le correzioni sele di esse, ovvero sete di cose. Ma sete di casso febbricitante è bella immagine, e vale sete di petto febbricitante. Dante usa più volte nel poema il vocabolo casso; e qui basti richiamare alla memoria quel luogo del Purg., XXIV, 70: « E come l'uom che di trollare è lasso, Lascia andar li compagni, e sì passeggia, Fin che si sfoghi l'affollar del casso, » cioè l'ansar del petto. E. M.

7 A desiderio, cioè al desiderio. P. 8 Cioè, maggiore di quello che sia l'acquisto. P.

nando le ricchezze : « Io in nullo tempo per fermo nè le pe>>> cunie di costoro, nè le magioni magnifiche, nè le ricchezze, » nè le signorie, nè l'allegrezze, delle quali massimamente >> sono astretti, tra cose buone o desiderabili essere dissi;1 >> conciossiacosachè io vedessi certo gli uomini nell' abbon>> danza di queste cose massimamente desiderare quelle di che » abbondano; perocchè in nullo tempo si compie nè si sazia » la sete della cupidità: nè solamente per desiderio d' accre>>scere quelle cose che hanno si tormentano, ma eziandio >> tormento hanno nella paura di perdere quelle. » E queste tutte parole sono di Tullio, e così giacciono in quello libro ch'è detto. E a maggior testimonianza di questa imperfezione, ecco Boezio in quello di Consolazione dicente: « Se quanta >> rena volge lo mare turbato dal vento, se quante stelle ri» lucono, la Dea della ricchezza largisca, l' umana generazione >> non cesserà di piangere. » E perchè più testimonianza, a ciò ridurre per pruova, si conviene, lascisi stare quanto contra esse Salomone e suo padre grida, quanto contra esse Seneca, massimamente a Lucillo scrivendo, quanto Orazio, quanto Giovenale, e brievemente quanto ogni scrittore, ogni poeta. e quanto la verace Scrittura divina chiama contro a queste false meretrici, piene di tutti difetti; e pongasi mente, per avere oculata fede, pur alla vita di coloro che dietro ad esse vanno, come vivono sicuri, quando di quelle hanno raunate, come s'appagano, come si riposano. E che altro cotidiana

1 Le parole di Cicerone nel 1 Par., son queste: « Numquam.... voluptates in bonis rebus aut expetendis esse duxi. » Donde si vede che Dante nel suo codice ha letto dixi. E. M. Noi abbiamo confrontato questa traduzione di Dante con quella del B. da Catignano, e ci siamo condotti a sospettare che non delle quali, ma alle quali abbia a leggersi; quando pure non si volesse ammettere dalle, che è più dappresso al latino, il quale dice quibus, non quarum. Quanto poi a quel dissi, pensiamo averlo Alighieri usato in luogo di stimai, come l' usia.

6

3

4

[blocks in formation]

mente pericola e uccide le città, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d'avere appo alcuno? lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, al fine delli quali sanza ingiuria d'alcuno venire non si può. E che altro intende di medicare l'una e l'altra ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupidità che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta l'una e l'altra ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono. Oh come è manifesto, anzi manifestissimo, quelle in accrescendo essere del tutto imperfette, quando di loro altro che imperfezione nascere non può quando 2 che accolte sieno! E questo è quello che 'l testo dice. Veramente qui surge in dubbio una quistione da non trapassare sanza farla e rispondere a quella. Potrebbe dire alcuno calunniatore della verità, che se per crescere desiderio, acquistando, le riechezze sono imperfette e3 però vili, che per questa ragione sia imperfetta e vile la scienza, nell' acquisto della quale cresce sempre lo desiderio di quella; onde Seneca dice: « Se l'uno de' piedi avessi nel sepolcro, apprendere vorrei. » Ma non è vero che la scienza sia vile per imperfezione ; adunque per la distinzione del conseguente, il crescere desiderio non è cagione di viltà alla scienza. Che sia perfetta, è manifesto

1 Cupidità, lat. cupiditas, fu detta per antonomasia l'avarizia, come si trova in san Girolamo; e la volgata versione traduce in san Paolo: radix omnium malorum cupiditas; dove nel testo greco è piλapyupía, amor d'argento, come dicomo i Greci l'avarizia. B.

2 Malamente tutti i testi: quanto. E. M.

3 Così col codice Barb. e col secondo Marc. (e col Ricc.) Gli altri codici e le stampe hanno: e poi vili. E. M.

41 Dionisi (Anedd. IV, pag. 101) propone che invece di distinzione si legga distruzione, ed a sostegno della sua emendazione allega quello che Dante medesimo scrive in questo trattato, cap. 14: « Poi a maggiore loro confusione questa loro ragione an

5

che si distrugge: » al che aggiunge alcune citazioni del Libro de Monarchia, lib. II, cap. 4 e 5, e della questione De duobus elementis aquæ et terræ, n. 11. Nel primo de' luoghi qui citati dicesi : « Si peccatum sit in maleria, aut est quia simpliciter falsum assumptum est; aut quia falsum secundum quid. Si simpliciter, per inleremptionem assumpti solvendum est; si secundum quid, per distinctionem. » Nella questione poi De aqua et terra è scritto: « Ad destructionem igitur primi membri consequentis. » Abbiamo riferiti questi due passi in grazia di coloro che amassero d'ingolfarsi nelle sottigliezze degli scolastici. E. M.

5 Già ci eravamo accorti dell'errore in cui cadono tutte le stampe leggendo non è cagione di viltà alle

per lo Filosofo nel sesto dell' Etica che dice, la scienza essere perfetta ragione di certe cose.' A questa quistione brievemente è da rispondere; ma prima è da vedere se nell' acquisto della scienzia il desiderio si sciampia, come nella quistione

ricchezze; ed avevamo corretto alla scienza, che è quello che l'autore intende qui di provare quando consultati invano tutti gli altri MSS., abbiamo ritrovato nel cod. Gadd. 135 secondo: non è cagione di viltà alle scienze. Nonostante però che questa sia buona lezione, non abbiamo voluto mutare la correzione da noi fermata col soccorso della critica; perocchè Dante usa in tutto questo passo il singolare scienza, parlando assolutamente e complessivamente di tutte le scienze; ed egli ripiglia subito nel periodo susseguente: Che sia perfetta ec. E. M.

1 Cioè, di cose non dubitabili. Ora tornando indietro lo sguardo su tutto l'argomento, io noto primieramente le parole: per la distinzione del conseguente, le quali, sia che si lascino così, sia che si legga per la distruzione, come piacque al Dionisi. nel linguaggio de' logici non vaglio. no, a mio intendimento, cosa nessuna. Perciocchè il conseguente non fa altro che portare il giudizio di convenienza o di non convenienza tra le due idee per le quali il raziocinio è istituito; ma in esso conseguente non si vuol fare nessuna djstinzione, e così distruzione non si cerca di lui, che non ha in sè la ragione di suo essere, ma l'ha nelle premesse, contro le quali e non altrove si devono indirizzare tutte le armi dell' ingegno. Crederò dunque che nelle dette parole sia alcun vizio non per anche conosciuto. Altrettanto dirò delle parole cagione di viltà alla scienza, le quali sono state poste da' signori edit. mil. invece della lezione volgata. Dove non posero mente, che stando a quel loro modo, l'argomento non giunge il termine suo, ma si ferma a mezza

via. E veramente che è quello che cerca il calunniatore, il quale è indotto ad argomentare? Provare che le ricchezze, sebbene ne cresca il desiderio acquistando, non sono imperfette e però vili; e ciò mediante l'esempio della scienza. La quale per ciò stesso che nell' argomento ha ragione di mezzo, non deve comparire nell'ultima conclusione, che dev'essere di pertinenza de' termini estremi esclusivamente. Dietro tali considerazioni io vorrei leggere non distinzione, ma indistinzione; rimettendo nel resto le parole della volgata, sicchè s'avesse questa lezione: adunque per la indistinzione del conseguente, il crescere desiderio non è cagione di viltà alle ricchezze. Con ciò mi vien chiarissimo il fatto dell'argomentante, a questo modo: Pone in prima la proposizione che se per crescere desiderio acquistando, le ricchezze sono imperfelle e però vili, dovrebb' essere imperfetta e vile anche la scienza, nell'acquisto della quale sempre cresce il desiderio. Poi seguita: Ma non è vero che la scienza sia vile per imperfezione. Quinci dovea primieramente concludere: Dunque il crescere desiderio acquistando non importa imperfezione alla scienza. Poseia conchiudere nuovamente per analogia: Dunque il crescere. desiderio acquistando non è cagione d'imperfezione, e però di viltà, nè anche alle ricchezze. Ma che fece egli? Non volle andare argomentando così per la lunga; e quando fu sul conchiudere, che il crescere desiderio non è cagione di viltà alla scienza, suppose come evidente l'identità. del conse guente per ambedue le proposizioni, e cosi conchiuse di salto a favore delle ricchezze. Solo gli rimane di dare la prova di ciò ch' egli ha af

« PreviousContinue »