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ragione è da laudare. E costoro e la loro setta chiamati furono Stoici: e fu di loro quello glorioso Catone, di cui non fui di sopra oso di parlare.' Altri filosofi furono, che videro e credettono altro, che costoro; e di questi fu primo e principe uno filosofo, che fu chiamato Epicuro, che veggendo che ciascuno animale tosto ch'è nato è quasi da natura dirizzato uel debito fine, che fugge dolore e domanda allegrezza,2 disse questo nostro fine essere voluptate, non dico voluntade ma scrivola per p, cioè diletto sanza dolore; e però tra 'l diletto e'l dolore non ponea mezzo alcuno; dicea che voluptade non era altro, che non dolore; siccome pare3 Tullio recitare nel primo di Fine de' Beni. E di questi, che da Epicuro sono Epicurei nominati, fu Torquato, nobile Romano, disceso dal sangue del glorioso Torquato, del quale feci menzione di sopra. Altri furono, e cominciamento ebbero da Socrate e poi dal suo successore Platone, che ragguardando più sottilmente, e veggendo che nelle nostre operazioni si potea peccare e si peccava nel troppo e nel poco, dissero che la nostra operazione, sanza soperchio e sanza difetto, misurata col mezzo per nostra elezione preso, ch'è virtù, era quel fine, di che

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no: E definito ec. Il cod. Barb legge: E definito così questo onesto è: quello che ec. Noi siamo d'opinione che col semplice cangiamento del t in r nel Vocabolo definito, il discorso diventi regolare e chiarissimo. E. M.

1 Quanto Dante fosse divoto di Catone apparisce in più luoghi di que sto libro, e nel Poema, ove lo mette a guardia del Purgatorio, e lo dice Degno di tanta reverenza in vista, Che più non dee a padre alcun figliuolo. E veramente l'opinione dell'illibatezza de' costumi di questo romano fu sempre grande ed universale; e si deduce anche solamente da quel lo che avvenne quando, entrato egli una volta nel teatro ove doveano darsi i giuochi Florali, il popolo non osò dimandare che alla sua presenza si principiassero a motivo della loro oscenità della qual cosa egli s'avvide e parti. Ciò diede poi argomen

to allo scherzo di Marziale (lib. I, ep. 1.): « Nosses jocosa dulce cum sacrum Fiora Festosque lusus et licentiam vulgi, Cur in theatrum, Cato severe, venisti? An ideo tantum veneras, ut exires? >> E. M.

2 Tutte le stampe ed i codici leggono: quelli disse questo ec. Si è espunto il quelli, da cui era viziata (certamente per colpa de'copisti) la costruzione. E. M.

3 Cosi il cod. Gadd. 135 primo, il Vat. Urb. e le pr. ediz. Il Biscioni: siccome pare a Tullio recitare. E nota che pare qui vale appare, apparisce. E. M.

4 Così i cod. Vat. Urb. e Gadd. 134. Il Biscioni: dal successore Platone che agguardando. Il Gadd. 135 secondo legge anch'esso: suo successore E. M.

51 testi MSS. e stampati leggono viziosamente: misurato col mezzo, per nostra elezione preso, che virtù era quel fine. E. M.

al presente si ragiona; e chiamarlo operazione con virtù. E questi furono Accademici chiamati, siccome fu Platone e Speusippo suo nipote; chiamati così per lo luogo dove Platone studiava, cioè Accademia; nè da Socrate non presono vocabolo, perocchè nella sua filosofia nulla fu affermato. Veramente Aristotile, che da Stagira ebbe soprannome, e Senocrate Calcidonio suo compagno, per lo 'ngegno quasi divino, che la natura in Aristotile messo avea, questo fine conoscendo per lo modo socratico quasi ed accademico limaro e a perfezione la filosofia morale ridussero, e massimamente Aristotile. E perocchè Aristotile cominciò a disputare andando qua e là, chiamati furono (lui, dico, e li suoi compagni) Peripatetici, che tanto vale quanto Deambulatori. E perocchè la perfezione di questa moralità per Aristotile terminata fu, lo nome delli Accademici si spense; e tutti quelli che a questa setta si pcsero,* Peripatetici sono chiamati, e tiene questa gente oggi il reggimento del mondo in dottrina per tutte parti: e puotesi appellare quasi cattolica opinione. Per che vedere si può, Aristotile essere additatore e conducitore della gente a questo segno. E questo mostrare si volea. Per che tutto rico

1 Nullo, seguendo la volgata, lessero gli edit. mil., dando ad esso vocabolo il significato di nessuna cosa. Ma il codice Riccardiano legge nulla. F.

2 Ecco tutto questo passo secondo il testo del Biscioni: E questi furono Accademici chiamati, siccome fue Platone e Pseusippo suo nipote: chiamati per luogo così, dore Plato studiava, cioè Accidenziani: da Socrate presono vocabolo, perocchè nella sua filosofia nullo fu affermato. Veramente Aristotile che Scargere ebbe soprannome, e Zenocrate Calcidonio suo compagno, per lo 'ngegno e quasi divino, che la natura in Aristotile messo avea, questo fine conoscendo per lo modo Socratico quasi ad Accademico limaro, e a perfe zione la Filosofia morale ridussero, e massimamente Aristotile. E perocchè Aristotile cominciò a disputare andando qua e là, chiamato fu Lindico, e li

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suoi compagni Peripatetici, che tanto vale quanto deambulatori. Quale sia il guazzabuglio di questa lezione orrendamente depravata, ogni lettere lo vede, e noi abbiamo già mostrato nel Saggio, pag. 100. Qui diremo solo che senza la critica tutti i codici e tutte le stampe da noi consultate ci avrebbero sempre lasciati nel buio. Dove allo stranissimo Scurgere abbiamo sostituito da Stagira, chi volesse mettere un solo vocabolo potrebbe adottare l'emendazione: che Stagiri la ebbe soprannome. E. M.

3 Cioe, condotta al termine supremo. P.

4 La comune lezione è si presero. Ma il cod. Ricc. legge si posero, e non v' ha principio di dubbio, che questa sia la vera lezione. F.

5 Il cod. Vat. Urb. legge: aiutatɔre e conduttore: il Barberino: dittatore e conduttore. E. M.

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gliendo, è manifesto il principale intento, cioè che l'autorità del filosofo sommo, di cui s' intende, si è piena di tutto vigore, e non repugna alla autorità imperiale: ma quella1 sanza questa è pericolosa; e questa sanza quella è quasi debile, non per sè ma per la disordinanza della gente: sicchè l' una coll' altra congiunta, utilissime e pienissime sono d'ogni vigore; e però si scrive in quello di Sapienza: «< Amate il lume >> della sapienzia, voi tutti che siete dinanzi a' popoli; » cioè a dire: Congiungasi la filosofica autorità colla imperiale a bene e perfettamente reggere. Oh miseri, che al presente reggete! e oh miserissimi, che rêtti siete! chè nulla filosofica autorità si congiugne colli vostri reggimenti, nè per propio studio nè per consiglio; sicchè a tutti si può dire quella parola dello Ecclesiaste: «Guai a te, terra, lo cui re è fanciullo, e li cui » principi la domane mangiano: » e a nulla terra si può dire quello che séguita: «Beata la terra lo cui re è nobile, e li » cui principi usano il suo tempo a bisogno e non a lussu» ria. » Ponetevi mente, nemici di Dio, a' fianchi," voi che le verghe de' reggimenti d'Italia prese avete. E dico a voi Carlo e Federigo regi, e a voi altri principi e tiranni; e guardate chia lato vi siede per consiglio; e annumerate quante volte il di questo fine della umana vita per li vostri consiglieri v'è additato. Meglio sarebbe voi, come rondine, volare basso, che, come nibbio, altissime rote fare sopra cose vilissime.

1 Ma quella, cioè, l'autorità imperia. le. P.

Cioè, piena di pericoli in rispetto al mondo. P.

3 La comune lezione è disordinan3a, siccome ho lasciato correre nel testo; ma il cod. Ricc. legge discor danza, e per dir vero questa lezione m' appaga di più. F.

Miserissimi, cod, Barb, Gadd. 435 primo e Marc. secondo. Il Biscioni: miseri. E. M.

5 Ponetevi mente a' fianchi, guardando al contesto pare significare: ponetevi a fianco consiglieri che abbia no alto intelletto. F.

6 E quel che vedi nell' arco declivo, Guglielmo fu, cui quella terra plora,

Che piange Carlo e Federigo vivo. »
Par. XX, 61. E. M.

7 Carlo d' Angiò re di Napoli, e Federigo d'Aragona re di Sicilia; l'uno e l'altro, checchè ne sia paruto a Dante, meritati d'assai lodi da tutti i più gravi scrittori delle cose di que' tempi. P.

8 Così i cod. Marc., Barb., Gadd., 135 secondo, ed il Vat. Urb. Gli altri MSS. ed il Biscioni: e roi. Più avanti dove noi leggiamo cogli altri testi: Meglio sarebbe roi come rondine ec., i cod. Barb. e Vat. Urb. hanno: Meglio sarebbe a voi, come a rondine ec.; ma conserviamo la lezione volgata, che ci pare aver maggior forza e un non so che di peregrino. E. M.

CAPITOLO VII.

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Poichè veduto quanto è da reverire l'autorità imperiale e la filosofica, che deggiono aiutare le proposte opinioni, è da ritornare al diritto calle dello inteso processo.2 Dico adunque che questa ultima opinione del vulgo è tanto durata, che sanza altro rispetto, sanza inquisizione d'alcuna ragione, gentile è chiamato ciascuno che figliuolo sia o nipote d'alcuno valente uomo, tuttochè esso sia da niente. E questo è quello che dice: Ed è tanto durata La così falsa opinion tra nui, Che l'uom chiama colui Uomo gentil, che può dicere: i' fui Nipote o figlio di colal valente, Benchè sia da nïente; per che è da notare che pericolosissima negligenzia è 3 a lasciare la mala opinione prendere piede; chè così come l'erba multiplica nel campo non cultivato, e sormonta e cuopre la spiga del formento, sicchè, disparte agguardando, il formento non pare, e perdesi il frutto finalmente; cosi la mala opinione nella mente non gastigata no corretta cresce e multiplica, sicchè la spiga della ragione, cioè la vera opinione, si nasconde e quasi sepulta si perde. Oh come è grande la mia impresa in questa canzone, a volere omai così trafoglioso campo sarchiare, come è quello della comune sentenzia, si lungamente da questa cultura abbandonata! Certo non del tutto questo mondare intendo, ma solo in quelle parti dove le spighe della ragione non sono del tutto sorprese; cioè coloro dirizzare intendo, ne' quali alcuno lumetto di ragione, per buona loro natura, vive ancora; chè degli altri tanto è da curare, quanto di bruti animali; perocchè non minore maraviglia mi sembra, reducere a ragione colui nel quale è del tutto spen

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1 Il cod. Barb., il Marc. secondo, il Gadd. 435 secondo: che paiono aiutare. E. M.

2 E da ritornare alla via che mena diritto al fine proposto. P.

3 11 cod. Gadd. 134 e il Vat. Urb. leggono pericolosissima negligenza é lasciare. E. M.

Pr. ediz. e cod. Gadd. 134: non cultato. E. M.

5 Guardando un poco da lontano.P. 6 Il fromento finalmente, le pr. ediz. E. M.

7 Pien d' erbe e piante salvatiche. P. 8 Dalla coltura che si fa col sarchio. P.

ta,' che reducere in vita colui che quattro di è stato nel sepolero. Poichè la mala condizione di questa popolare opinione è narrata subitamente, quasi come cosa orribile, quella percuote fuori di tutto l'ordine della reprovazione 2 dicendo: Ma vilissimo sembra, a chi'l ver guata, a dare a intendere la sua intollerabile malizia, dicendo costoro mentire massimamente, perocchè non solamente colui è vile, cioè non gentile, che disceso di buoni è malvagio,3 ma eziandio è vilissimo: e pongo esemplo del cammino mostrato, dove a ciò mostrare far mi conviene una quistione, e rispondere a quella in questo modo. Una pianura è, con certi sentieri, campo con siepi, con fossati, con pietre, con legname, con tutti quasi impedimenti ; fuori delli suoi stretti sentieri. E nevato è sì, che tutto cuopre la neve, e rende una figura in ogni parte, sicchè d'alcuno sentiero vestigio non si vede. Viene alcuno dall' una parte della campagna, e vuole andare a una magione ch'è dall' altra parte, e per sua industria, cioè per accorgimento e per bontà d'ingegno, solo da se guidato, per lo diritto cammino si va là dove intende, lasciando le vestigie de' suoi passi dietro da sè. Viene un altro appresso costui, e vuole a questa magione andare, e non gli è mestiere se non seguire le vestigie lasciate, e per suo difetto il cammino, che altri sanza scorta ha saputo tenere, questo scòrto erra, e tortisce 7 per li pruni e per le ruine, ed alla parte dove dee non va. Quale di costoro si dee dicere valente? Rispondo: quello che andò dinanzi. Quest'altro come si chiamerà? Rispondo: vi

1 La comune lezione era: reducere a ragione del tutto spenta, ove la la. guna essendo manifesta, il Vaccolini propose di riempirla nel modo che ora si vede nel testo. F.

2 Cioè, percuote quella, uscendo dell'ordine della confutazione. P.

3 Che, disceso di buoni, è malvagio, il Ricc. e qualche st. ant. La com., seguita pure dagli ed. mil.: ch'è disceso di buono ed è malvagio. F.

4 A mostrare che sia vilissimo. P. 5 Nevicato è, pr. ediz. e cod. Gadd. 135 primo. E. M.

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6 Quest' espressione rende una p. gura, serve di riscontro alla lezione proposta dal Dionisi, e adottata dal P. Lombardi, in quel passo dell' Inf. XVIII, 10: « Quale dove per guardia delle mura Più e più fossi cingon li castelli, La parte dov` ei son rende figura ec. » Intorno alla qual lezione sono da ve. dersi la Proposta (T. III, part. II, pagina 184), ed una nota del Viviani al suo Dante secondo il cod. Bartoliniano. E. M.

7 Tortisce, va tortamente, devia dal retto sentiero. F.

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