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Onde1è da sapere che in qualunque parte l'anima più adopera del suo ufficio, che a quella più fissamente intende ad adornare, e più sottilmente quivi adopera. Onde vedemo che nella faccia dell' uomo, là dove fa più del suo ufficio che in alcuna parte di fuori, tanto sottilmente intende, che per sottigliarsi quivi, tanto quanto nella sua materia puote, nullo viso ad altro è simile; perchè l' ultima potenzia della materia, la qual è in tutti quasi dissimile, quivi 5 si riduce in atto e perocchè nella faccia, massimamente in due luoghi adopera l'anima (perocchè in quelli due luoghi quasi tutte e tre le nature dell'anima hanno giurisdizione, cioè negli occhi e nella bocca), quelli massimamente adorna, e quivi pone lo 'ntento tutto a far bello, se puote. E in questi due luoghi dico io che appariscono questi piaceri dicendo: negli occhi e nel suo dolce riso; li quali due luoghi per bella similitudine si possono appellare balconi della donna che nello edificio del corpo abita, cioè l' anima; perocchè quivi, avvegnachè quasi velata, spesse volte si dimostra. Dimostrasi negli occhi tanto manifesta, che conoscer si può la sua presente passione, chi bene la mira. Onde conciossiacosachè sei passioni siano propie dell' anima umana, delle quali fa menzione il Filosofo nella sua Rettorica; cioè grazia, zelo, misericordia, invidia, amore, e vergogna; di nulla di queste puote l'anima essere passionata, che alla finestra degli occhi non vegna la

o meno, accompagnate. P. Nel senso morale può essere, ma nel letterale piacenza e dispiacenza non altro qui significano che bellezza e bruttezza. « Oltre natura umana Vostra fina piacenza Fece Dio per essenza, » disse il Cavalcanti. « Per la somma piacenza Di quella donna, » disse Cino. E qui infatti dice lo stesso Dante poche linee più sotto: quivi (nel viso umano) pone lo intento tutto à far bel lo. F.

1 Intendi: Perciocchè è da sapere che in qualunque parte del corpo l'anima fa più delle funzioni sue proprie, quella lavora con ogni sottigliezza ed abbellimento. P.

2 Questa lezione, che è la volgata, può reggersi, ma sembra che sarebbe assai meglio il dire ..... del suo uffi cio, quella più fissamente ec., tralasciando quel che a. E. M.

3 Al suo lavoro. P.

4 Che per cagione del sottigliarsi quivi ec. P.

5 Quivi, cioè nella faccia. P.

6 Cosi il cod. Vat. Urb. e il Gadd. 133 secondo. Il Biscioni legge : tutte tre. E. M.

7 Nel dificio del corpo, Biscioni. Nello edificio, porta il Vat. Urb., il quale d'accordo col Gadd. 134 legge alila invece di abita, lezione da non seguirsi. E. M.

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carità, Animate d'uno spirito gentile, cioè informato amore 1 d'un gentile spirto, cioè diritto appetito, per lo quale e del quale nasce origine di buono pensiero: e non solamente fa questo, ma disfà e distrugge lo suo contrario,2 cioè li vizii innati, li quali massimamente sono de' buoni pensieri nemici. E qui è da sapere che certi vizii sono nell' uomo, alli quali naturalmente egli è disposto; siccome certi per complessione collerica sono ad ira disposti: e questi cotali vizii sono innati, cioè connaturali. Altri sono vizii consuetudinarii, alli quali non ha colpa la complessione ma la consuetudine; siccome la intemperanzia, e massimamente del vino. E questi vizii si fuggono e si vincono per buona consuetudine, e fassi l'uomo per essa virtuoso, senza fatica avere nella sua moderazione, siccome dice il Filosofo nel secondo dell' Etica. Veramente 5 questa differenzia è intra le passioni connaturali e le consuetudinarie, che le consuetudinarie per buona consuetudine del tutto vanno via; perocchè 'l principio loro, cioè la mala consuetudine, per lo suo contrario si corrompe; ma le connaturali, il principio delle quali è per natura del passionato, tutto che molto per buona consuetudine si facciano lievi, del tutto non se ne vanno, quanto al primo movimento; ma van

1 Informato ardore, pr. ediz., cod. Barb., Gadd. 134, 135 secondo e Vat. Urb. E. M. Ed il cod. Ricc. Questa lezione a me pare migliore; perciocchè il sostantivo dominante in questo membro del discorso è ardore; la dizione poi d'amore esprime una passione d'esso sostantivo, e non ha altro ufficio. Ora se noi leggiamo informato ardore, sovrabbonda si, ma innocentemente, il segno espressivo del caso dominante; ma l'altra sua passione, cioè l'essere informato, gli va condotta direttamente, com'è dovere. Laddove se leggiamo informato amore, la passione è legata, non più al subietto, ma alla passione; la qual cosa non accade senza una come sottilissima tortura. P.

2 E distrugge lo suo contrario delli buoni pensieri, così i MSS. e le stam

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pe (salvo che il cod. Vat. Urb. in cambio di delli buoni pensieri, legge alli buoni pensieri); Dante però non dice lo contrario delli buoni pensieri, ma lo suo contrario; e quel suo fa chiarissima prova che delli buoni pensieri puro glossema. E. M.

3 La lezione volgata è, certi vizi sono anco nell' uomo. Abbiamo adottata quella de' cod. Barb., Vat. Urb., Marc., Gadd. 134, 135 primo e secondo, poichè la particella anco non ci parve richiesta dal discorso. E. M.

Per essa, leggono rettamente i cod. Gadd. 134 e 135 secondo; laddove altri codici, ed il Biscioni con loro, hanno per essi. Ma come mai potè credere quell' erudito, che l'uomo si faccia virtuoso pei vizii? E. M.

5 Contuttociò. P.
6 Cioè, si distrugge. E. M.

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nosene bene del tutto, quanto a durazione, perocchè la consuetudine è equabile alla natura, nella quale è il principio di quelle. E però è più laudabile l'uomo che indirizza sè e regge sè malnaturato contro all' impeto della natura, che colui che bene naturato si sostiene in buono reggimento;2 siccome è più laudabile un mal cavallo reggere, che un altro non reo. Dico adunque che queste fiammelle che piovono dalla sua beltà, come detto è, rompono li vizii innati, cioè connaturali; a dare a intendere che la sua bellezza ha podestà in rinnovare natura in coloro che la mirano, ch'è miracolosa cosa. E questo conferma quello che detto è di sopra nell' altro capitolo, quando dico ch' ella è aiutatrice della fede nostra. Ultimamente quando dico: Però quat donna sente sua beltate, conchiudo, sotto colore d' ammonire altrui, lo fine a che fatta fue tanta beltade. E dico, che qual donna sente per manco la sua beltà biasimare, guardi in questo perfettissimo esemplo; dove s' intende, che non pure a migliorare lo bene è fatta, ma eziandio a fare della mala cosa buona cosa. E soggiugne in fine: Costei pensò chi mosse l'universo, cioè Iddio, per dare a intendere per divino proponimento la natura cotale effetto produsse. E così termina tutta la seconda parte principale di questa canzone.

1 Non è equabile alla natura, tutti i testi. Ma il non è un vizioso soprappiù che guasta il pensiero dell'autore; il quale è questo: che quantunque rimanga sempre il moto primo delle naturali passioni, pure la buona consuetudine ne impedisce il processo, perchè la sua forza equivale a quella della natura. E questa sentenza è presa da Aristotile: a Quod consuetum est veluti innatum est, quia consuetudo est similis natura (Reth. 1, 2). Difficile est resistere consuetudini, quia assimilatur naturæ (Eth. VII, 10). Consuetudo est altera natura (ibid). » Ad Aristotile fa eco sant' Agostino nel VI della Musica: « Consuetudo quasi affabricata natura dicitur.» E san Basilio nella Regola:

« Non parvus est labor, ut se aliquis a priori non bona consuetudine reflectat et revocet, quoniam quidem mos longo tempore confirmatus vim quodammodo naturæ obtinet. » Vedi il Saggio, pag. 86. E. M.

2 In buono reggimento: lo disviato s rovina. È impossibile l'indovinare

come in tutti i testi siansi introdotte quest'ultime parole, da noi trala. sciate, perchè prive d'ogni legame col resto. Vedi il Saggio, pag. 98. E. M.

3 Cioè, sente biasimare la sua beltà per manco, cioè per difetto, o vogliam dire, come difettosa. P.

Così le pr. ediz., il secondo cod. Marc., il Vat. Urb., i Gadd. 134 e 135 secondo. L'ediz. del Biscioni: della mala cosa buona. E. M.

DANTE.

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CAPITOLO IX.

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L'ordine del presente trattato richiede, poichè le due parti di questa canzone prima sono, secondochè fu la mia intenzione, ragionate, che alla terza si proceda, nella quale io intendo purgare la canzone d'una riprensione, la quale a lei potrebbe essere stata contraria. Ed è questa, ch' io prima che alla sua composizione venissi, parendo a me questa donna fatta contro a me fiera e superba alquanto, feci una ballatetta, 2 nella quale chiamai questa donna orgogliosa e dispietata, che pare essere contr' a quello che qui si ragiona di sopra; e però mi volgo alla canzone, e, sotto colore d'insegnare a lei come sè seusare le conviene, scuso quella. Ed è una figura questa, quando alle cose inanimate si parla, che si chiama dalli rettorici Prosopopea; ed usanla molto spesso li poeti. Canzone, e' par che tu parli contraro. Lo 'ntelletto della quale, a più agevolmente dare ad intendere, mi conviene in tre particole dividere che prima si propone, a che la scusa fa mestiere; poi si procede colla scusa quando dico: Tu sai che'l ciel: ultimamente parlo alla canzone siccome a persona ammaestrata di quello ch'è da fare, quando dico: Così ti scusa, se ti fa mestiero. Dico adunque in prima: o canzone, che parli di questa donna con tanta loda, e' par che tu sia contraria a una tua sorella. Per similitudine dico sorella: chè siccome

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1 Primamente. P.

2 Sembra esser quella che comincia: Voi che sapete ragionar d'amore. E. M.

3 Cioè, che si ragiona qui di sopra. E. M.

4 Tutti i testi portano questo passo così: come scusare la conviene, lezione che non ha senso. Scusare le conviene, legge il cod. Vat. 4778: manca però del sè, cui non puossi fare a meno di supplire, quando non voglia dirsi che Dante abbia qui usato scusare a modo di neutro; il che ne parrebbe strano. E. M.

5 Cioè, si propone quello contro il

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quale la scusa fa mestiere, cioè l'accusa. P.

Di quello che deve fare, le prime ediz., i cod. Marc. secondo, Gadd. 134, 135 secondo. E. M.

7 Licenza della canzone indirizzata alla canzone medesima. Questa medesima chiosa parola per parola fa il Castelvetro alla canzone del Petrarca: Gentil mia donna, io veggio ec., la quale finisce: Canzon, l'una sorella è poco innanzi ec. Ma il Castelvetro, citando il verso di Dan te, Al dir d'una sorella che tu hai, non ha citate le parole del Convilo in proposito, anzi le ha poste come

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sorella è detta quella femmina che da uno medesimo generante è generata; così puote l'uomo dire sorella quell' opera che da uno medesimo operante è operata; chè la nostra operazione in alcun modo è generazione. E dico perchè pare contraria a quella, dicendo: tu fai costei umile, e quella 1 la fa superba, cioè fera e disdegnosa, che tanto vale. Proposta questa accusa, procedo alla scusa per esemplo, nel quale 2 alcuna volta la verità si discorda dall' apparenza, e l'altra per diverso rispetto si può trattare. Dico: Tu sai che 'l ciel sempre è lucente e chiaro, cioè sempre con chiarità, ma per alcuna cagione alcuna volta è licito di dire quello essere tenebroso. Dov'è da sapere che propiamente è visibile il colore e la luce, siccome Aristotile vuole nel secondo dell' Anima, e nel libro di Senso e Sensato. Ben è altra cosa visibile; ma non propiamente, perocchè altro senso sente quello, sicchè non si può dire che sia propiamente visibile, nè propiamente tangibile, siccom' è la figura, la grandezza, il numero, lo movimento e lo star fermo, che sensibili si chiamano le quali cose con più sensi comprendiamo; ma il colore e la luce si propiamente, perchè solo col viso li comprendiamo. Queste cose visibili, sì le pro

sue senza frammettere alcuna citazione. Perticari.

1 Il cod. Barb.: e quella fa superba; il Marc. secondo, il Vat. Urb., e il Gadd. 134: e quella fai superba ; le stampe e quella fu superba. Ma niuna di queste lezioni è sincera : il perchè abbiamo emendato, come dalla buona critica ne venne suggerito. E. M.

2 Nel quale, leggono correttamente i cod. Triv., Gadd. 134 e le prime ediz.; nello quale, il cod. Gadd. 135 secondo; nella quale, malamente il Biscioni. E. M. Per esemplo, cioè per mezzo d'un esempio. P.

3 Quest'ultimo inciso a me non dà niuno intelletto; e per conseguenza lo giudico monco e da dover esser compito, leggendo: dall' apparenza, l'una e l'altra per diverso rispetto si può trattare; cioè, e tanto l'apparenza come la verità si possono con

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siderare per vero e non vero, avendo rispetto a diversa condizion di ragioni. P.

La volgata lezione di questo passo, secondo il testo Biscioni, è la seguente: ma il colore e la luce sono propiamente, perchè solo col viso comprendiamo, cioè non con altro senso. Queste cose ec. La correzione si propiamente ci venne presentata dal pr. cod. Marc.; il pronome li si è quindi aggiunto secondo la ragione grammaticale; e finalmente si sono leva. te le parole cioè non con altro senso, le quali sono evidentemente glossema. E. M. Le due ultime correzioni stanno bene, ma la prima poteva omettersi, perchè le parole della volgata, il colore e la luce sono propiamente, danno il senso che sono propriamente visibili o sensibili, frase usata dall' autore anco innanzi. F.

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