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zone convenia ragionare di quelli cieli, e de' loro motori; e1 nelli tre precedenti capitoli è ragionato. Dico adunque a quelli ch'io mostrai essere movitori del cielo di Venere: Voi che, intendendo (cioè collo 'ntelletto solo, come detto è di sopra), il terzo ciel movete, Udite il ragionar; e non dico udite, perch'egli odano alcuno suono; ch' elli non hanno senso; ma dico udile, cioè, con quello udire ch'elli hanno, che è intendere per intelletto. Dico: Udite il ragionar ch'è nel mio core, cioè dentro da me, chè ancora non è di fuori apparito. È da sapere che in tutta questa canzone, secondo l'uno senso e l'altro, il cuore si prende per lo secreto dentro, e non per altra spezial parte dell' anima e del corpo. Poi gli ho chiamati a udire quello che dire voglio, assegno due ragioni, per che io convenevolmente deggio loro parlare: l'una si è la novità della mia condizione, la quale, per non essere dagli altri uomini sperta, non sarebbe così da loro intesa, come da coloro che intendono i loro effetti nella loro operazione. E questa ragione tocco quando dico: Ch'io nol so dire altrui, si mi par nuovo. L'altra ragione è: quando l'uomo riceve beneficio, ovvero ingiuria, prima dee' quello retraere a chi gliele fa, se può, che ad altri; acciocchè se egli è beneficio, 10 esso,

1 Questa e manca in tutti i testi; ma è necessaria per l'ordine del discorso. Sottintendi: e di ciò. E. M.

2 Dico adunque quello ch' io mostrai sono movitori, leggono erroneamente le stampe antiche ed i codici; a quelli ch'io mostrai che sono, leggono gli edit. mil.; ma avendo essi pur proposto a quelli ch' io mostrai essere, ho preferito di legger cosi. F.

3 Ed è da sapere, le prime edizioni. E. M.

Cioè, secondo il letterale e l' allegorico. P.

5 Poi per poichè; modo frequentissimo presso gli antichi; e Dante stesso ne fa uso più volte nella Commedia, Purg., X, 1: « Poi fummo dentro al soglio della porta. » Par., 11, 55: « Certo non ti dovrien punger gli strali D'ammirazione omai, poi dietro a' sensi Vedi che la ragione ha corte l'ali. »

E. M.. 1 Ed il cod. R. ha Poi ch' io. F. 6 Cioè la stranezza dello stato della mia persona. P.

7 Esperta, cod. Vat. Urb. E. M.

8 Come da essi Spiriti motori, i quali convenevolmente intendono gli effetti che sono prodotti dalla loro operazione. P.

Prima di quello retraere, l'ediz. Biscioni. La lezione dee è sicura, e lo stesso Biscioni riscontrolla in un suo MS., che deve esser quello che ora ritrovasi nella biblioteca di San Marco in Venezia, e che noi citiamo sotto il nome di primo Marciano. Malamente adunque egli ritiene nel suo testo di quello. Le prime edizioni, malamente anch' esse, hanno da quello. Retraere qui si deve intendere per riferire, riportare. Vedi il Saggio, pag. 35. E. M.

10 Leggiamo beneficio col codice

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che lo riceve, si mostri conoscente vêr1 lo benefattore; e s'egli è ingiuria, induca lo fattore a buona misericordia colle dolci parole. E questa ragione tocco quando dico: Il ciel, che segue lo vostro valore, Gentili creature che voi sele, Mi tragge nello stato ov' io mi trovo; cioè a dire : l'operazione vostra, cioè la vostra circulazione, è quella che m' ha tratto nella presente condizione; perciò conchiudo e dico che 'l mio parlare a loro dee essere, siccom'è detto; e questo dico qui: Onde 'l parlar della vita, ch' io provo, Par che si drizzi degnamente a vui. E dopo queste ragioni assegnate, prego loro dello intendere quando dico: Però vi priego che lo m' intendiate.5 Ma perchè in ciascuna maniera di sermone lo dicitore massimamente dee intendere alla persuasione, cioè all' abbellire dell' audienza, siccome quella ch'è principio di tutte l'altre persuasioni, come li rettorici fanno, e potentissima persuasione sia,” a rendere l'uditore attento, promettere di dire nuove e grandiose cose,1o seguito io alla preghiera fatta dell' udienza questa per

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Marc. secondo, col Vat. Urb. e col Gadd. 134. Le stampe hanno benefi cialo. E. M.

1 Inverso, i codici Gadd. 134 e 135 secondo. E. M.

2 Qui tutte le stampe leggono: e se la ingiuria induca lo fullore; parole dalle quali risulta uno stranissimo senso, fuor tutti i confini del sano giudizio. Il cod. secondo Marc. legge: e sella ingiuria; ma avendo detto prima l'autore s' egli è beneficio, sembra regolare che qui debba ripigliare e s'egli è ingiuria, come ottimamente ne ha suggerito la Biblioteca Italiana. E. M.

3 Cioè, lo fattore dell'ingiuria. P. Cioè volgersi a loro, quasi andare a loro. P.

5 Nota frase, come se dicesse : vi prego che in mio favore l'ascoltiate. P.

6 Abbellire, infinito usato a modo di sostantivo per piacere, aggradimento. Abbellire per piacere, aggradire è verbo tolto al linguaggio romanico. Dante istesso ne fa uso ne' versi proven

zali che pone in bocca d'Arnaldo Daniello, Purgatorio, XXVI, 140. Tan m' abellis votre cortes deman, che vale: tanto mi piace la vostra cortese domanda. Il volgarizzatore di Livio, citato dalla Crusca (ad voc.) s'egli t' abbellisce di vivere in questo pericolo, apparecchiati. Il nostro autore poi nel poema usa nello stesso senso Abbellare, Par., XXVI, 130: « natura lascia Poi fare a voi secondo che v'abbella. » Cioè, secondo che vi piace. E. M.

7 Siccome a quella, le prime ediz.

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suasione, cioè abbellimento, annunziando loro la mia intenzione, la quale è di dire nuove cose, cioè la divisione che è nella mia anima; e gran cose, cioè lo valore. della loro stella: e questo dico in quelle ultime parole di questa prima parte: Io vi dirò del cor la novitate, Come l'anima trista piange in lui; E come un spirto contra lei favella, Che vien pe' raggi della vostra stella. E a pieno intendimento di queste parole, dico che questo non è altro che uno frequente pensiero a questa nuova donna commendare e abbellire; e questa anima non è altro che un altro pensiero, accompagnato di consentimento, che, repugnando a questo, commenda e abbellisce la memoria di quella gloriosa Beatrice. Ma perocchè ancora l'ultima sentenza della mente, cioè lo consentimento, si tenea per questo pensiero che la memoria aiutava, chiamo lui anima e l'altro spirito; siccome chiamare solemo la cittade quelli che la tengono, e non quelli che la combattono; avvegnache l'uno e l'altro sia cittadino. Dico anche, che questo spirito viene per li raggi della stella; perchè sapere si vuole

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1 Cioè, dico, abbellimento, tutte le stampe. Leviamo quel dico, affatto superfluo, col cod. Gadd. 3. Ma forse erano da levarsi, come glossema, tutte e tre le parole cioè dico abbellimento, poichè Dante ha già detto prima, che la persuasione è l'abbellimento dell' udienza, e qui è inutile il replicarlo. E. M.

2 Da dire, malamente tutti i testi MSS. e stampati. E. M.

3 Questo, cioè spirto. P.

4 Questa nuova donna, leggono alcuni testi citati dagli edit. mil. e varie antiche edizioni; nuova donna legge il cod. R., e nuova donna vuol che si legga il Pederzini, perchè non è solo varietà di lezione, ma serve anco di comento al soggetto. Gli edit. nil leggono questa donna. F.

5 Questo, cioè spirito. P.

6 L'ultima, cioè l'intima; se pure intima non è la vera lezione. E. M.

7 Invece di sentimento, come porta Ja volgata, il cod. R. legge consentimento; e così dee leggersi, non solo

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perchè lo richiede il buon discorso,
ma perchè l'autore stesso ripetendo
nel capitolo seguente ciò che qui ha
detto, dice l'anima s'intende, come
detto è nel precedente capitolo, per lo
general pensiero col consentimento. F.
8 Che, quarto caso. P.

9 Solemo cittadini, le pr. ediz. e il
cod. Gadd. 134. Per ritenere questa
lezione bisognerebbe dare la seguen-
te forma al periodo: siccome chiamare
solemo cittadini quelli che tengono la
cittade, e non quelli che la combattono.

Cittade per cittadini scrisse l'Ariosto, Fur., XVII, st. 70: « Vanno scorrendo timpani e trombette, E ragunano in piazza la cittade. » 11 Parenti nelle sue annotazioni al Dizionario della lingua italiana ad illustrazione di città per cittadini cita molto a 'proposito una chiosa del Segni sopra il trattato dei Gov. d' Aristotile, lib. I, cap. 1: Dico.... il fine del sommo filosofo nel trattato tutto della Politica essere di far beata la città, o vogliam dire la civil compagnia. E. M.

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che li raggi di ciascuno cielo sono la via per la quale discende la loro virtù in queste cose di quaggiù. E peròcchè i raggi non sono altro che un lume che viene dal principio della luce per l'aere insino alla cosa illuminata, e luce non sia se non nella parte della stella, perocchè l' altro cielo è diafano (cioè trasparente), non dico che venga questo spirito (cioè questo pensiero) dal loro cielo in tutto, ma dalla loro stella; la quale per la nobiltà delli suoi movitori è di tanta virtute, che nelle nostre anime e nell' altre nostre cose ha grandissima podestà, non ostante che ella ci sia lontana, qualvolta più ci è presso, cento sessanta sette volte tanto quanto è più al mezzo della terra, che ci ha di spazio tremila dugento cinquanta miglia. E questa è la litterale sposizione delia prima parte della can

zone.

CAPITOLO VIII.

Inteso può essere sufficientemente, per le prenarrate parole, della litterale sentenza della3 prima parte; per che alla seconda è da intendere, nella quale si manifesta quello che dentro io sentia della battaglia. E questa parte ha due divisioni: chè in prima, cioè nel primo verso, narro la qualità di queste diversità, secondo la lor radice ch' era dentro a me; poi narro quello che diceva l'una e l'altra diversità. E però prima

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1 Forse questo cioè trasparente è glossema de copisti. E. M.

2 Cioè, considerato in ogni sua parte. P.

3 Il cod. Vat. Urb. legge la prima parle, ed è buona lezione, secondo la quale il senso corre così: Inteso può essere sufficientemente la prima parte per le prenarrate parole della letterale sentenza. E. M.

Ha due divisioni. Adottiamo questa correzione che vedesi scritta in margine del secondo codice Marciano. Gli altri MSS. e le stampe hanno: E questa parte avea divisione. Ma che quella correzione sia giusta ce ne fa sicuri Dante medesimo, il

quale dice un po' sotto: Ad evidenza dunque della scienza della prima divisione. E. M. Ed ha due divisioni, legge il cod. Riccardiano. F.

5 Di quella diversità, l' ediz. Biscioni. I due cod. Marc., i Gadd. 134 e 135 secondo, il Vat. 4778 leggono: di questa diversità. Correggiamo queste, perchè Dante prosegue: quello che dice l'una e l'altra diversità; e mostra chiaro che le diversità son due, e non una. E. M. - Per queste diversità intendi le parti contrastanti. P.

6 Adottiamo la buona lezione del cod. Vat. Urb.; la volgata è: quello che dice l'una; ma Dante ripiglia subito: E però quello che dicea. E. M.

quello che dicea la parte che perdea: ciò è nel verso ch'è il secondo di questa parte, e 'l terzo della canzone. Ad evidenza dunque della sentenzia della prima divisione2è da sapere che le cose deono essere denominate dall' ultima nobiltà della loro forma; siccome l'uomo dalla ragione, e non dal senso, nè da altro che sia meno nobile; onde quando si dice: l'uomo vivere, si dee intendere, l'uomo usare la ragione; ch'è sua spezial vita, ed atto della sua più nobile parte.* E però chi dalla ragione si parte, e usa pur 5 la parte sensitiva, non vive uomo, ma vive bestia; siccome dice quello eccellentissimo Boezio: « Asino vive. » Dirittamente dico,7 perocchè il pensiero è proprio atto della ragione, perchè le bestie non pensano, che non l' hanno; e non dico pur delle minori bestie, ma di quelle che hanno apparenza umana, e spirito di pecora o d'altra bestia abbominevole. Dico adunque, che vita del mio cuore, cioè del mio dentro, solea essere un pensiero soave

1 Tutti i testi quarto. Noi però correggiamo terzo col signor Witte, perchè le parole dell'anima, cioè della parte che perdea, sono nella terza strofa (che Dante al suo modo chiama verso) della canzone. E. M.

2 La volgata leggeva: Ad evidenza dunque della scienza ec., e il l'ederzini interpetrava: « affine dunque » che la scienza della prima divi»sione sia evidente. » Ma il cod. R. legge della sentenzia, ed è chiaro che dee leggersi così. F.

3 Intendi: Devono essere denominate da quella parte che è supremamente nobile nella loro forma. P.

4 La qual cosa, cioè l'usare ragione è la vita propria della specie dell'uomo, ed atto della sua più nobile parte. Questo è il membro che risponde più strettamente alla proposizione fondamentale del discorso. Ad intendimento però della sua sentenza, che sta tra le cose della più alta metafisica, è da avere in mente, che la vita non è altro che una co. tale azione procedente dalla compagnia delle parti essenziali. Posto

adunque che le cose debbon esser nominate dall'ultima nobiltà della loro forma, o vogliam dire, dalla più nobile d'esse parti essenziali, quando si dice l'uomo vivere, meritamente si dee intendere, l'uomo usare la ragione, perocchè questo è l'atto, cioè l'azione procedente dalla sua più nobile parte, che è la razionalità. P.

5 Solamente. P.

6 Asino vive direttamente, dico, perocchè, il Biscioni. Ma le parole di Boezio, allegate dall'autore, sono le due sole asino vive; perciò doveva emendarsi come si è fatto. Diril tamente legge il cod. Vat. Urb. E. M. 7 Intendi: Dico propriamente, dicendo che, vive bestia, perocchè il pensiero, cioè la riflessione, è proprio allo della ragione, perchè, cioè per la qual cosa, le bestie che non l'hanno non pensano. Che, se l'avessero, penserebbero, e allora non sarebbero bestie; ed è, per la stessa legge, con esse chiunque non pensa cioè si parte dalla ragione, come segue dicendo Dante, ribattendo terribilmente. P.

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